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Social & istituzioni. Gli appunti di Giorgia secondo De Tomaso

Meloni ha fatto bene ad aprire questo canale diretto con il popolo del web. I sondaggi la premiano. Le opposizioni la agevolano. I mercati le stanno concedendo fiducia. Potrebbe davvero nei suoi primi cento giorni al governo incidere con riforme di struttura, per usare un lessico d’antan, sfidando pure l’esercito del web. Lei ha detto che lo farà, che la smania del consenso non la condizionerà, anzi. Bene. Il commento di Giuseppe De Tomaso

Tutti parlano e sparlano di riforme più o meno grandi. Ma la vera Grande Riforma è in vigore da tempo, anche se a molti dev’essere sfuggita. Eccola: i social non solo si sovrappongono alle istituzioni canoniche, tipiche di una liberaldemocrazia, ma già da tempo tendono a sostituirsi ad esse. Una tappa cruciale in quest’opera di socializzazione della democrazia rappresentativa si è svolta con la prima puntata degli “Appunti di Giorgia”, la rubrica social del presidente del Consiglio.

Intendiamoci. Giorgia Meloni è sveglia. Sa cogliere lo spirito del tempo. Né si può chiedere a un politico, specie se riveste ruoli di leadership, di ignorare i nuovi strumenti della comunicazione, soprattutto nell’era del “videor, ergo sum“, anche perché l’attività politica è essenzialmente un frullato di logos e di annunci vari.

Se non utilizzasse i nuovi attrezzi del mestiere, nessun politico potrebbe mai ambire a fare carriera, anzi nessun aspirante politico potrebbe persino avvicinarsi a una pur minima agorà, reale o virtuale che sia. Ve lo immaginate un Aldo Moro (1916-1978) o un più recente Ciriaco De Mita (1928-2022) rivolgersi su Internet a cittadini e militanti? Sarebbe più inverosimile di un autogol di Leo Messi in una finale mondiale di calcio.

Giorgia Meloni è giovane, attiva. Sa meglio di altri suoi colleghi come interloquire con la fascia più fresca della popolazione, per altro sempre più disamorata della politica, dei suoi rituali e del suo linguaggio gergale e dal suo punto di vista, lei ha fatto bene ad aprire questo canale diretto con il popolo del web. Del resto, il presidente del Consiglio dice quello che pensa e pensa quello che dice. Il che le consente, come si diceva un tempo, di bucare il video, sotto o sopra ogni piattaforma.

Lo strumento, tra l’altro, dal presidente Barack Obama in poi, è stato non soltanto accarezzato ma proprio utilizzato da altri interlocutori come gancio per dialogare con cittadini ed elettori. Non è nuova la tradizione di riepilogo della settimana sotto forma di video ad uso e consumo dei social. È chiaro che da un lato c’è il suo “Io sono (e resto) Giorgia” ma dall’altro, ed è molto interessante, con i suoi “appunti” apre un nuovo canale con i lettori/elettori.

Ma la democrazia rappresentativa ci guadagna o ci perde dalla istituzionalizzazione, o addirittura dalla costituzionalizzazione strisciante e ormai inarrestabile, dei social network?

Forse ci perde. Uno, perché la mutazione in atto rende sempre più decorativa la funzione degli organi costituzionali, in questo caso del Parlamento, dal momento che il rapporto diretto tra il capo del governo e la popolazione è più forte di qualunque altra forma di comunicazione e legittimazione (altro che presidenzialismo formale). Due, perché affida solo agli indici di ascolto, ai “mi piace” e ai “non mi piace”, il verdetto di gradimento e di sgradimento su chi governa o amministra. Tre, perché contribuisce a trasformare tutta la classe politica in nuovi (praticanti) influencer, con tutte le inevitabili conseguenze del caso.

A partire dalle future elezioni, non troveremo qualche affermato influencer professionista (modello Ferragni, per intenderci) in cima a una lista o a più liste di candidati a Camera e Senato? La definitiva sublimazione politica degli influencer è dietro l’angolo. È solo questione di tempo.

Ma torniamo all’argomento da cui ci siamo mossi, che oltrepassa la novità di un presidente del Consiglio in esclusiva su un canale social. Che cosa direbbe, in merito, il barone di Montesquieu (1689-1755) che ha legato il suo nome al principio liberale della separazione dei poteri? Beh. Di sicuro non farebbe festa, anzi quasi certamente prenderebbe carta e penna per manifestare le proprie perplessità. Forse l’illuminista francese non si farebbe suggeritore di un provvedimento teso a proibire l’uso o, perlomeno, l’abuso dei social da parte dei governanti, ma quanto meno si farebbe promotore di un’iniziativa regolatoria, per arginare la sovranità, rectius il sovranismo, della Rete nel campo della politica. Infatti. Il vero sovranismo, quello più insidioso, non può essere (solo) il manifesto programmatico, anti-europeo e anti-global, che qualche partito potrebbe presentare in campagna elettorale.

Il sovranismo più pericoloso consiste nell’erosione dell’azione di governo attuata dal popolino del web a scapito dei rappresentanti eletti dal popolo. Il che, in pieno webetismo social(e), può costituire una miscela sul punto di esplodere, con tanti saluti alla già claudicante democrazia indiretta (fondata su organi di garanzia contromaggioritari) e tanti inchini al trionfante regno digitale.

La politica, o meglio la classe politica, dovrebbe ridimensionare la voglia matta della Rete di sostituirsi definitivamente alle istituzioni codificate dalla Costituzione. Invece, il Palazzo contribuisce a corroborarne il potere, anche a costo di rischiare l’immediata sommaria delegittimazione in caso di ribaltone nel senso comune prevalente.

Ciò detto, Giorgia Meloni sta facendo il suo gioco. I sondaggi la premiano. Le opposizioni la agevolano. I mercati le stanno concedendo fiducia. Potrebbe davvero, il premier, nei suoi primi cento giorni al governo, quando rivali interni e avversari esterni, sono più frastornati di un pugile al tappeto, incidere con riforme di struttura, per usare un lessico d’antan, sfidando pure l’esercito del web.

Lei ha detto che lo farà, che la smania del consenso non la condizionerà, anzi. Bene. Ma la Rete, la Rete è una sirena più ammaliatrice delle sirene di Ulisse. Che, non a caso, lui, l’eroe omerico, per non farsi sedurre dal loro canto, irresistibile e letale, si salvò legandosi all’albero della nave, albero che in tutte le vere liberaldemocrazie corrisponde alle classiche istituzioni costituzionali, specie a quelle di garanzia.

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