Sarebbe non solo giusto, ma anche necessario modificare il Pnrr, perché solo interventi radicali possono aumentare significativamente le prospettive di successo degli investimenti già programmati e programmabili. L’analisi di Pasquale Lucio Scandizzo, direttore scientifico di OpenEconomics
Il Pnrr italiano fa parte del Next Generation Eu Program, il programma europeo per la ripresa dai danni economici e sociali causati dalla pandemia di Covid 19. Il programma era stato salutato come una innovazione istituzionale radicale, perché il suo finanziamento è realizzato attraverso una emissione autonoma di obbligazioni europee da parte della Commissione Europea. NextGenEu si propone infatti di utilizzare questo finanziamento, per la prima volta ottenuto per l’iniziativa e con la garanzia dell’intera Ue, attraverso un mix di prestiti e sovvenzioni, per realizzare investimenti per un totale di circa 723,5 milioni di euro distribuiti tra i paesi europei.
L’ Italia è sulla carta il maggior beneficiario del programma finanziario, ma l’attuazione di quest’ultimo dipende dalla realizzazione di un piano nazionale, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, approvato dalla Commissione e monitorato in base a una serie di obiettivi e tempi di attuazione. Sia il NextGenEu, sia il Pnrr non si distinguono particolarmente per la chiarezza degli obiettivi e per i dettagli del programma di realizzazione.
Il NextGenEu si propone alcuni obiettivi generali, quali il sostegno agli investimenti e alle riforme, il rilancio dell’economia e degli investimenti pubblici. Il Pnrr si propone invece di mitigare il l’impatto economico della pandemia e di costruire un Paese più equo, verde e inclusivo. Tuttavia, né il NextGenEu, né il Pnrr presentano un disegno unitario, eccetto che per un richiamo a tre assi strategici (digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale).
Né essi si pongono il problema di valutare l’impatto economico e sociale dell’allocazione delle risorse e i benefici e i costi economici delle azioni proposte. Queste ultime sono organizzate in “missioni” e comprendono un insieme di riforme e di investimenti in sei aree distinte:
Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura – 40,32 miliardi
Rivoluzione verde e transizione ecologica – 59,47 miliardi
Infrastrutture per la mobilità sostenibile – 25,40 miliardi
Istruzione e ricerca – 30,88 miliardi
Inclusione e coesione – 19,81 miliardi
Salute – 15,63 miliardi
Mentre le riforme previste dipendono da azioni legislative di cui sono responsabili governo e parlamento, gli investimenti dipendono da una serie di azioni decentrate di amministrazioni pubbliche e private, nazionali e locali. A quanto è dato di capire, e ci si può aspettare dall’esperienza passata anche dell’uso dei fondi europei, la quasi totalità delle azioni previste non è ancora organizzata in forma di progetti cantierabili, eccetto che per progetti già pronti e che quindi constano di opere che sarebbero state realizzate anche in assenza del piano.
Per le opere “nuove”, in assenza di dati ufficiali esaurienti, varie rassegne informali dei progetti finanziabili suggeriscono che i disegni progettuali sono ancora largamente in forma preliminare e le stime dei costi per la maggior parte incomplete e largamente incerte. Per le opere di maggiori dimensioni, soprattutto nel settore delle infrastrutture di trasporto, anche in base a dati ufficiali più estesi, i progetti sembrerebbero essere in condizioni di maggiore preparazione.
Tuttavia, le stime dei costi e soprattutto dei tempi di realizzazione sembrano non tener conto della lentezza della macchina amministrativa e degli ostacoli che la realizzazione di grandi opere debbono affrontare nel nostro Paese. Più in generale, nonostante una serie di azioni apprezzabili e di progetti anche di rilievo, lo stato attuale del Pnrr dà l’impressione di un approccio caotico alla programmazione, con una molteplicità di progetti non coordinati, e di dubbia realizzabilità, e una gestione decentrata in difficoltà sia per la valutazione dei progetti stessi, sia per la loro implementazione.
L’assegnazione di risorse condizionate al cofinanziamento di privati o di enti pubblici, in molti casi rende lo stesso finanziamento aleatorio, con piani finanziari ancora non finalizzati per una molteplicità di interventi. Mancano inoltre caratteristiche cruciali quali modularità, replicabilità e rapidità di esecuzione per un piano di investimenti che si propone realizzazioni di successo in tempi brevi. Queste condizioni sono inoltre particolarmente critiche nel Mezzogiorno.
Per tutte queste ragioni, si può argomentare che sarebbe non solo giusto, ma anche necessario modificare il Pnrr, perché solo modifiche radicali possono aumentare significativamente le prospettive di successo degli investimenti già programmati e programmabili. Le modifiche richieste, tuttavia, non riguardano solo l’allocazione delle risorse alle diverse missioni, il problema dell’inflazione o la crisi energetica.
Beninteso queste sono tutte richieste legittime sulla base dell’articolo 21 del Regolamento, che dovranno essere portate avanti nel modo e nei tempi più opportuni e che probabilmente saranno approvate dalla Commissione. Esse però riguardano solo alcuni degli ostacoli che si frappongono alla attuazione del Pnrr. La maggior parte di questi ostacoli riguardano la natura estemporanea dell’architettura complessiva del Piano e la forma caotica della sua organizzazione in termini di programmi e progetti, a fronte di strutture tecniche e amministrative e di un apparato regolatorio largamente impreparati a gestire risorse di grandi dimensioni in tempi brevi. La rimozione di questi ostacoli non richiede il ricorso alla Commissione, ma interventi coraggiosi sulla struttura della programmazione delle opere previste, della loro gestione sul territorio e del coordinamento della macchina tecnica ed amministrativa.