Lasciamo perdere le multe maggiorate per chi dichiara redditi più alti. Semmai bisognerebbe premiare quest’ultimi con un riconoscimento sociale, non bollarli con uno stigma infamante, o penalizzarli con salassi di ogni tipo. Invece, sembra irresistibile la tentazione di perseguitare i buoni, di disincentivare la trasparenza. Fino a quando durerà questa tendenza, anche sul terreno delle infrazioni, a fare cassa sempre e soltanto con i soliti noti?
Marziani a Roma? Sì, ce ne sono a frotte. E non ci riferiamo a quei personaggi letterari immaginari, il più illustre dei quali ha avuto la fortuna di imbattersi nella straordinaria inventiva di Ennio Flaiano (1910-1972). Ci riferiamo a diversi esemplari della classe politica nazionale, il cui eloquio spesso dà la sensazione di esprimere il disorientamento, lo smarrimento, di chi, dopo aver vissuto un’esistenza sul pianeta rosso, sembra atterrato per caso nella città eterna, esprimendosi come un personaggio fuori dal mondo.
Negli ultimi tempi, in nome della lotta alle disuguaglianze sociali, sta prendendo piede l’idea che la progressività fiscale sia un principio da estendersi a tutte le voci di servizi e consumi. E così via alle tariffe da pagare solo in base al reddito degli utenti (il che in alcuni casi accade), via – qualcuno ci sta già pensando – ai prezzi variabili di prodotti e servizi, ovviamente da calibrare in base alle entrate di ogni singolo consumatore. Neppure il micidiale Iosif Stalin (1878-1953) aveva osato tanto, neppure lui aveva osato introdurre il criterio dei prezzi ad personam, o contra personam, eppure, anche nella sua Urss, le differenze di reddito tra benestanti e malestanti erano tutt’altro che modeste. Evidentemente, persino a Stalin stava a cuore il rispetto, perlomeno formale, del calcolo economico, calcolo che, in una bolgia di prezzi stabiliti individuo per individuo, andrebbe in tilt come una cabina di pilotaggio distrutta da un fulmine.
Ora è spuntata, sempre in Italia, la proposta di adeguare le multe automobilistiche al reddito di chi viola il codice della strada. Sei ricco? Pagherai di più. Sei povero? Avrai uno sconto. Lasciamo stare le riserve e le obiezioni di cui sopra. Non si comprende perché la stessa irregolarità debba essere sanzionata con due pene pecuniarie diverse. Ma anche a voler prendere per buono il ragionamento di chi propone un ventaglio di misure punitive legate al reddito dei reprobi, le perplessità sono così estese da oltrepassare il campo dell’incredulità.
Sul serio chi propone la progressività di sanzioni, tariffe e prezzi, dà l’impressione di sbarcare da un altro pianeta. Infatti. Se c’è una cosa, in Italia, che sfugge a quasi tutti i radar, questa è la materia fiscale. Non a caso, nello Stivale, un cittadino su due non paga le tasse: i furbi evadono, i furbissimi eludono. Sono pochi coloro che presentano veritiere dichiarazioni dei redditi, quasi tutti sono lavoratori dipendenti, anche se non sono pochi i contribuenti a reddito fisso che rimpinguano le proprie entrate tramite un secondo lavoro, generalmente in nero.
Cosicché tutte le statistiche sulla ricchezza effettiva e sulla povertà reale degli italiani andrebbero prese con le pinze, non foss’altro che per non trascurare un monito assai caro alla disciplina economica: ci sono le bugie, le grandi bugie e poi le statistiche.
Coloro che, in Italia, pagano tasse consistenti, non sono ricchi. Sono solo onesti o fessi, come direbbe la buonanima di Giuseppe Prezzolini (1882-1982) che, sull’Italia dei furbi e dei fessi, ha scritto pagine indimenticabili, valide ieri, oggi e forse domani. I veri ricchi sovente si nascondono in mille modi, pur di beffare la cassa comune. Di conseguenza, a volte risultano poveri davanti ai raggi del fisco, facendo pure incetta di quei sussidi e di quelle esenzioni che caratterizzano lo Stato sociale proteso a soccorrere i più deboli.
Morale. Più lo Stato colpisce e punisce chi gli è fedele in materia fiscale, più scoraggia gli infedeli (evasori ed elusori) a emergere con tutta la loro consistenza reddituale. Non solo. Più lo Stato si accanisce contro i contribuenti onesti (fessi), più li induce a cercare una scappatoia, una scorciatoia, per iscriversi al partito trasversale dei contribuenti disonesti (furbi).
Ci auguriamo che l’idea delle multe variabili, a fisarmonica, non faccia molta strada, dal momento che celerebbe un’ingiustizia sotto il mantello di un provvedimento di giustizia, o di politica redistributiva, come si ripete spesso.
Il lavoro nero e le attività sommerse non sono casi isolati in Italia. Spesso costituiscono le voci più importanti di un bilancio familiare. Non si spiegherebbe, altrimenti, il numero esorbitante di auto di lusso sulle strade nazionali, roba al cui confronto la ricca Germania fa la figura di un parente misero e sfigato. Se le denunce dei redditi fotografassero in profondità la situazione economica delle famiglie italiche, si assisterebbe quotidianamente a rivolte di piazza. Il che, per fortuna, non avviene. Il che dovrebbe indurre tutti a un supplemento di riflessione, per cercare di agevolare l’emersione del sommerso, ossia l’approdo alla legalità.
Lasciamo perdere le multe maggiorate per chi dichiara redditi più alti. Semmai bisognerebbe premiare quest’ultimi con un riconoscimento sociale, non bollarli con uno stigma infamante, o penalizzarli con salassi di ogni tipo. Invece, sembra irresistibile la tentazione di perseguitare i buoni, di disincentivare la trasparenza. Fino a quando durerà questa tendenza, anche sul terreno delle infrazioni, a fare cassa sempre e soltanto con i soliti noti?
Uno Stato beffardo è uno Stato destinato a perdere credibilità. Evitiamoci lo spettacolo del multametro a due, a tre o a quattro velocità. Con il freno per i dritti, con l’acceleratore per gli ingenui. Perché, di questo si tratta.