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Phisikk du role – La Tv dei ricchi e quella dei poveri

È forte la divaricazione tra televisioni dei ricchi, Sky e piattaforme come Netflix e non solo, che si pagano e offrono prodotti più o meno al riparo da aggressioni massive di spot commerciali, e tv dei poveri, che costringono a vedere la programmazione televisiva col singulto cognitivo e uditivo per via dell’invasione degli ultracorpi pubblicitari… La rubrica di Pino Pisicchio

Dal primo gennaio 2023, in attuazione della direttiva europea sui Servizi Media Audiovisivi recepita dall’Italia nel novembre dello scorso anno, la pubblicità televisiva nelle reti Rai, che sarebbe pure il servizio pubblico, dovrebbe essere meno invasiva. A partire da quella data, infatti, entreranno in vigore i nuovi limiti di affollamento orario, che saranno del 6% di pubblicità tollerata dalle sei del mattino alle 24 di sera, mentre fuori da questo lasso di tempo, considerato quello “pregiato” dal punto di vista della vendita degli spazi, il tetto sale al 12%.

Per le tv commerciali il tetto si allarga addirittura al 20%: per capirci, se un film dura 120 minuti, bisognerà aggiungere per vederlo tutto altri 24 minuti in più di pubblicità. Meno di Via col Vento, ma su quella stessa scia. La differenza tra Rai e il resto delle reti è che la prima è servizio pubblico, appunto, pagato dal contribuente, il resto no.

Gli esperti valutarono il ritocco imposto dalla direttiva come un mancato introito valutabile tra i 50 e i 150 milioni annui per la tv di Stato, un bel gruzzolo. Resta sempre la domanda: ma quanto costa riempire di contenuti una rete televisiva di Stato, visto che il flusso delle risorse viene comunque assicurato? C’è un bel po’ di gente che si chiede ancora perché deve pagare il canone e perché resta esposta ugualmente (anche se con minore violenza invasiva) all’aggressione della pubblicità.

Perché, c’è poco da fare, ormai è forte la divaricazione tra televisioni dei ricchi, Sky e piattaforme come Netflix eccetera, che si pagano e dunque offrono prodotti più o meno al riparo da aggressioni massive di spot commerciali, e tv dei poveri, che costringono a vedere la programmazione televisiva col singulto cognitivo e uditivo per via dell’invasione degli ultracorpi pubblicitari. Se la permanenza media davanti al teleschermo per la popolazione ultra-sessantenne raggiunge e supera spesso le quattro-cinque ore quotidiane, questo significa che in un anno più di dodici giorni di vita del telespettatore sono carpiti dalle tv (media tra Rai e commerciali ) per essere venduti all’inserzionista. Fanno tre mesi nel decennio e, secondo le aspettative di vita potremmo anche conteggiare annate.

La faccenda riguarda il popolo agé, certo, pochissimo i ragazzi, che la Tv non la vedono più: solo il 60% degli italiani possiede un televisore, mentre lo smartphone è presente in Italia con 134 esemplari su cento abitanti, e solo i giovani hanno l’abitudine di sostituirlo al monitor televisivo. Il riposizionamento del target riguarda anche i contenitori più generalisti, dai contenuti mainstream, come Rai uno, e le tre reti di Mediaset, che hanno inventato, ed esportato nella Tv di Stato, lo spot “zanzara”, malefico interludio di 60 minuti, una puntura nel bel mezzo di un programma di prima serata, quello che costa di più e infatti se lo vendono a due-tre inserzionisti per volta.

Che sia un programma d’inchiesta o l’intrattenimento con cantanti anni ’70 tenuti in frigorifero per mantenerli ancora rigidi (e strizzare l’occhietto all’anziano), non fa differenza. Non parliamo poi dei film, titoli rimandati sulle stesse reti a loop, sperando sull’effetto dimenticanza. Che svapora quando interviene lo spot, sempre quello dell’ultima volta: così lo spettatore si ricorda anche la trama del film che aveva già visto tre volte sugli stessi canali.

Una volta, quando il primo Berlusconi arrivò a fare la concorrenza alla Rai con le sue Tv e il catalogo di film della distribuzione Medusa, chi gli si opponeva lanciò uno slogan, efficace, in verità, contro le interruzioni pubblicitarie: “Non si interrompe un’emozione”, diceva, rivendicando la necessità di poter godere di un’opera d’arte senza quel maledetto singulto pubblicitario. Si trattava di timidi intermezzi, rispetto alla vita rubata ai telespettatori di oggi, dalla tv diventata classista.



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