Sono tempi complicati, la guerra ancora morde le caviglie dell’Europa, i virus non pare accettino di buon grado di venir eliminati per legge dai nuovi governi, il Quatar inguaia la faccia dell’Unione europea, il gas rincara, la luce pure, la recessione ha tutta l’aria di essere lì che aspetta dietro l’angolo, e sul ponte sventola bandiera bianca
È Natale, tempo di bilanci, desideri e articolesse. Di tempo che fugge lasciando un retrogusto di perduto e in coda il dubbio angoscioso: sono io che perdo tempo o è lui che perde me? Lasciamo le profondità di pensiero alla filosofia e alla matematica (sì, perché di matematica si tratta quando la sensazione del tempo che scorre più veloce è legata solo all’algoritmo dell’età: il giorno che passa per un bambino di due giorni vale la metà della sua vita, un’enormità, ma per un vecchio di ottant’anni e’ solo un trentamillesimo, un soffio) e restiamo sull’umano troppo umano della politica.
Che cosa chiederemmo, dunque, alla politica per l’anno nuovo? Una cosa bipartisan, sicuramente, che metta dentro governo e opposizione, senza distinzioni. Chiederemmo un supplemento di competenza nell’esercizio degli affari pubblici. Che poi sono quelli per cui la gente vota la propria rappresentanza. Sono tempi complicati, la guerra ancora morde le caviglie dell’Europa, i virus non pare accettino di buon grado di venir eliminati per legge dai nuovi governi, il Quatar inguaia la faccia dell’Unione europea, il gas rincara, la luce pure, la recessione ha tutta l’aria di essere lì che aspetta dietro l’angolo, e sul ponte sventola bandiera bianca. Insomma ci vuole un fisico bestiale, come diceva Luca Carboni, per tirare questo Paese dalle secche e anche per dargli una rimodernata, partendo dalle leggi che regolano la politica.
Tanto per fare un piccolo richiamo di memoria, così, alla rinfusa: bisognerebbe completare l’incompiuta della riduzione del numero dei parlamentari, mettendo mano a riforme dei regolamenti delle Camere e riflettere anche se ci piace proprio così tanto un reperto storico chiamato bicameralismo perfetto, in cui tutte e due le assemblee legislative fanno la stessa cosa, raddoppiando tempi e spese, rarissimo esempio nel mondo democratico. E, visto che ci siamo, ci sarebbe da mettere mano anche alla riforma elettorale, perché questa legge vigente è un furto alla libertà di scelta del cittadino (che se ne è accorto protestando con l’abbandono delle urne), perché tutto è consegnato nelle mani del capo-bastone che fa le liste, per cui il Parlamento si compone attraverso la regola della cooptazione, in base al comandamento della fedeltà cieca al cooptatore, alla faccia del divieto costituzionale di mandato imperativo.
Un’occhiatina andrebbe data alle altre incompiute: le provincie e il Cnel, per esempio. Che facciamo? Le teniamo a bagnomaria in eterno, oppure decidiamo che queste “entità” devono essere tolte di mezzo? Sarebbe ora di decidersi e di muoversi coerentemente. Ma, soprattutto, il popolo italiano ha diritto di chiedere competenza ai propri rappresentanti. È vero che non esistono più i partiti, che non si fa più formazione politica, che l’alternanza compulsiva al potere non solo rappresenta un fattore ansiogeno che effonde precarietà, ma anche un incitamento per chi capita al governo a comportarsi come non ci fosse più un domani, ma è vero pure che persino nella Costituzione si scorge chiaramente la spinta per il rappresentante del popolo nelle istituzioni a studiare e ad attrezzarsi per servire il popolo al meglio.
È l’art. 54 secondo comma della Costituzione a sancirlo, quando dice che il pubblico ufficiale (funzionario o politico eletto) deve esercitare le sue funzioni con “disciplina e onore”. Bene: disciplina viene dal latino “discere” che vuol dire imparare e restituire ciò che hai imparato con competenza, “a regola d’arte”. Una volta, quando ancora il popolo si sceglieva i suoi rappresentanti al Parlamento, la qualità della funzione veniva verificata dagli elettori con il voto di preferenza, e del resto i partiti politici garantivano i cursus honorum dei candidati provvedendo anche alla formazione dei dirigenti. Oggi vige il metodo random, o, come dicono a Roma, a do cojo cojo. Smontare questo metodo e il sistema che ne deriva sarebbe già una gran cosa.