Se l’implosione pare aver fatto il suo corso a sinistra, alla destra spetta l’arduo compito dell’impulsione: aiutare la sinistra a rigenerarsi non più sull’antiberlusconismo, ma sull’essere qualcosa. Purché sia
Se l’esperienza del Contratto di governo tra Lega e Movimento 5 Stelle ha segnato uno spartiacque empirico tra populismi e non, oggi ne è fiorito un altro: è quello delle “implosioni” a sinistra (che non c’è più, si potrebbe dire) e delle “impulsioni” a destra (spinta che provoca un movimento).
La colpa, da una parte, è della sinistra che ha smarrito sé stessa; questo è un danno per la democrazia allo stesso modo di quando capitò alla destra (e sappiamo cosa è accaduto poi, ma un rischio simile, ad oggi, non pare esserci).
La colpa, dall’altra parte, è anche destra che, dopo Berlusconi, ha individuato un nuovo leader in Giorgia Meloni che però non ha (almeno per ora) sufficienti elementi per delineare la Casa delle libertà 4.0. Anzi, è proprio quest’ultima che non è possibile da realizzare essendo Fratelli d’Italia di area super conservatrice.
A sinistra, invece, il Partito democratico rischia di arrivare al famoso Congresso (previsto ad inizio del 2023) con tutte le incertezze e le incognite sulla leadership effettiva di chi sarà segretario o segretaria: a quale sinistra si ispirerà? A quella occhettiana, prodiana, zingarettiana, ecc.?
Il punto è che l’identità del Pd è un tema che deve appartenere e interessare tutto l’arco politico perché se viene a mancare a sinistra una forza non populista, significa che il campo di democratico, cioè il gioco vero e proprio, giunge all’implosione.
Se teniamo presente che il Movimento 5 Stelle si sta occupando dei temi della “sinistra più sinistra”, ciò significa che gradualmente esso aumenta il peso relativo all’interno di un’area politica determinata rischiando, per l’effetto, di delegittimare i “valori omogenei” (il socialismo ad esempio).
Allora, sia destra che sinistra dovrebbero porsi un obbiettivo comune al proprio interno, ma anche vicendevolmente: isolare i populismi. Sul piano politico, questa è la vera sfida che la “terza repubblica” deve prendere di petto per riportare al centro del dibattito le risposte concrete e fattibili rispetto alle speranze del Paese.
Sappiamo, quindi, che la politica avvicendatasi nelle ultime legislature ci ha insegnato una cosa: che destra e sinistra esistono ancora sul piano della simpatia organizzativo-elettorale, ma sono, ormai, poco percepite sul piano della rappresentanza e rappresentatività effettiva.
Il famoso contratto di governo Lega-M5S ne è stato un esempio da manuale. Gli italiani si sono lasciati ammaliare dai richiami plebiscitari delle parole “riempi stomaco”. Che paradosso storico per il nostro Paese vero? L’elettorato più istruito della storia d’Italia che, sia nel caso del Movimento 5 Stelle che nel caso Lega, si è alimentato di una sorta di nuovo conio condito di “vaffa gratuiti” e ricerca di “pieni poteri”.
Ecco, la sinistra (quella degna di esser chiamata tale) ha grandi responsabilità per aver rotto quel “patto di lotta” tra partiti, sindacati e mondo operaio. Perché, venuto meno quest’ultimo, è venuto meno anche il volto che ne interpretava le ragioni. Di riflesso anche la destra, soprattutto quella di richiamo liberale-cattolico-popolare, si è lanciata nella disperata ricerca di un’isola deserta su cui sopravvivere. Sappiamo com’è andata a finire nel tempo recente (la Lega a un certo punto stava per auto-legittimarsi ai pieni poteri).
C’è un dato buono, però, prima di passare a quello preoccupante: che Giorgia Meloni è certamente leader di chiara identità e posizionamento (quindi la destra sa cos’è). Dall’altra parte il Pd, in questo momento alle prese con il futuro Congresso, ha consegnato il Movimento 5 Stelle contiano al ruolo di liquidatore della sinistra storica. Insomma un altro paradosso: un movimento che ha firmato decreti sicurezza, condoni fiscali, ecc. che oggi mantiene a galla le sfide dei quartieri popolari in cui il Pd è scomparso nel decennio appena passato.
Allora domandiamoci se il campo nuovo nel quale la politica dovrà tornare, necessariamente, a coltivare uno spirito di confronto serio non sia altro che quello della conoscenza dei temi piuttosto che su quello delle tematiche di consonanza (per area politica da occupare).
Far risorgere una sinistra seriamente spendibile è compito di tutte le forze sane del Parlamento, salvo che la sinistra stessa si renda conto di dover liberare il terreno intorno a sé da fraintendimenti valoriali.
Finché questo non accadrà, la destra starà dove è giusto che stia.
Attenzione, però, che anche la destra ha lo stesso problema latentemente. Non certo riguardo al ruolo di Giorgia Meloni, ma di tutto ciò che a quest’ultima sta aggrappandosi con tutte le forze pur di non dire la verità ai propri elettori: con Draghi è finita l’epoca bipolare avvenuta con Berlusconi (e per certi versi con la legge elettorale Mattarellum).
Oggi conta, pertanto, la serietà delle misure e delle cose che si sanno o dicono.
Le risposte da dare al Paese, d’altronde, sono troppe e, specie dopo il taglio dei seggi, le forze populiste in Parlamento sarebbero in grado di condizionare qualsiasi governo in questa legislatura (rappresentando circa 1/3 e cioè Lega+M5S).
Ecco, quindi, cosa c’è di preoccupante: mancano le aree valoriali omogenee che si rispettino per quel che sono. Con serietà di distinzione, ma senza miscelarsi di sapori populistici.
Se l’implosione pare aver fatto il suo corso a sinistra, alla destra spetta l’arduo compito dell’impulsione: aiutare la sinistra a rigenerarsi non più sull’antiberlusconismo, ma sull’essere qualcosa. Purché sia.