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Facciamo tornare il Ppi. La proposta di Merlo

Un partito laico, riformista e plurale che però coltiva l’obiettivo centrale di rilanciare ed inverare nella cittadella politica italiana il patrimonio, straordinariamente moderno e contemporaneo, del cattolicesimo popolare e sociale

La fase politica che si è aperta con il voto del 25 settembre e la vittoria del centrodestra di governo è del tutto nuova rispetto a quella che ha caratterizzato gli ultimi anni. Il solo fatto che un partito che ha perso sistematicamente tutte le elezioni – parliamo del Pd – abbia sempre stabilmente governato il Paese è una contraddizione in sé che difficilmente si ripeterà così meccanicamente nel futuro. Ma è indubbio che il quadro politico è in rapida evoluzione e gli stessi partiti ne risentono profondamente. A sinistra è in corso un dibattito che archivierà definitivamente la versione originaria del Partito democratico – si cambia addirittura il “Manifesto” fondativo del partito scritto e deliberato nel lontano 2007 – mentre si allarga la “sinistra per caso” dei 5 stelle, il partito populista, qualunquista e demagogico per eccellenza che cambia strategia politica con una rapidità impressionante. Del resto, è nel dna dei populisti praticare disinvoltamente il trasformismo politico e l’opportunismo parlamentare. Sul versante del centro destra, è persin inutile ricordare che ci sono due partiti in forte difficoltà – la Lega salviniana fortemente insidiata ormai dal “vento nordista” e Forza Italia che ormai è in caduta libera – mentre svetta il partito di Giorgia Meloni. E questo non solo per la cosiddetta “luna di miele” della pubblica opinione con il nuovo governo ma anche, e soprattutto, per le indubbie capacità politiche e programmatiche del nuovo Premier, appunto Giorgia Meloni.

Ora, è proprio in un quadro del genere – riassunto seppur brevemente per ragioni di spazio – che si inserisce il capitolo della presenza pubblica di una storica cultura politica, quella del cattolicesimo popolare e sociale, oggi del tutto assente ed afona. Una tradizione ed una cultura politica che nel nostro Paese hanno rivestito una importanza decisiva in tutti i tornanti più difficili della storia democratica ma che, in questo momento, sono ai margini e del tutto periferici. Almeno sotto il profilo della politica organizzata. È persin inutile ricordare che i Popolari e i cattolici sociali non hanno più alcun ruolo specifico all’interno dell’attuale Partito democratico, se non quello di spartirsi alcune candidature attraverso il meccanismo del capo corrente che le distribuisce ai suoi cari. Non a caso, nel momento in cui la priorità esclusiva è quella di ridefinire il nuovo ruolo e la nuova “mission” della sinistra italiana – cioè la filiera Pci/PDS/Ds/Pd – i Popolari e tutto ciò che appresenta quella cultura sono, di fatto, estranei ed esterni a quel partito. Un partito che, del resto, assomiglierà sempre di più, come giustamente dice Luca Ricolfi, ad un “partito radicale di massa”. Sul versante del centro destra la presenza e il ruolo dei Popolari, almeno sino ad oggi, è sempre stata alquanto velleitaria e superficiale.

Ed è proprio in questo contesto che si inserisce una proposta che apparentemente può apparire controcorrente e anticonformista ma che non è nient’altro che quasi naturale e fisiologica in un contesto del genere. E cioè, ridare voce e presenza al Partito Popolare Italiano. Ovvero, ridare una casa politica, culturale, programmatica ed organizzativa ad un mondo che non ha più una rappresentanza ed una voce. Appunto, una voce politica, organizzativa ed istituzionale. Un partito che, forse, nel passato è stato troppo rapidamente archiviato – tecnicamente “sospeso” – ma che adesso può e, secondo la stragrande maggioranza di chi si riconosce in questo mondo valoriale, culturale e politico, deve scendere nuovamente in campo. Un partito laico, riformista e plurale che però coltiva l’obiettivo centrale di rilanciare ed inverare nella cittadella politica italiana il patrimonio, straordinariamente moderno e contemporaneo, del cattolicesimo popolare e sociale.

Del resto, non è possibile pensare di annullare una cultura politica o di annacquarla in un partito, come ad esempio il Pd, che ormai vira da un’altra parte e che non ha alcun interesse, se non per alcune frange di autotutela della vecchia nomenklatura, di ridare voce e speranza al popolarismo di ispirazione cristiana. Serve, cioè, un atto di coraggio. Le condizioni politiche cambiano e la stessa coerenza politica esige e richiede comportamenti adeguati e conseguenti. Come quella, appunto, di ridare voce e speranza ad un mondo che richiede a gran voce di essere nuovamente rappresentato. Verrebbe proprio da dire, “se non ora quando”?


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