Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Mina cinese sulla transizione Usa. I rischi di affidarsi a fornitori dello Xinjiang

A sei mesi dall’entrata in vigore della legge che vieta le importazioni di materie prime dalla provincia uigura, per l’industria del fotovoltaico arrivano i primi bilanci. Nel 2022 installazioni giù del 40%. E il prossimo anno…

Era la fine di giugno quando gli Stati Uniti fecero entrare in vigore una legge che oggi vieta l’importazione di beni la cui filiera produttiva è legata allo Xinjiang, dove a partire dal 2017 la Cina ha incarcerato almeno 1,5 milioni di uiguri, condannando molti di loro ai lavori forzati. Da quel giorno, per avere il via libera all’import, anche di prodotti realizzati al di fuori del Dragone con materie prime provenienti dalla provincia incriminata, le aziende americane debbono dimostrare con prove chiare e convincenti che nella realizzazione dei beni non è stato utilizzato il lavoro forzato degli uiguri.

Era il soft power all’americana alla sua massima potenza. Il quale ha creato qualche problema alle industrie che invece di quei materiali facevano incetta.  Nel Xinjiang, infatti, viene prodotto il 40 per cento del polisilicio indispensabile alla realizzazione delle celle fotovoltaiche (il 95% dei pannelli presenti sul mercato ne contiene una parte). Di qui, un problema non da poco per i produttori di pannelli americani a stelle e strisce, costretti a fare a meno di un elemento essenziale.

Naturalmente, le ragioni della mossa verso la Cina era più che comprensibile, e segue altre decisioni simili prese in passato su temi simili (lavoro forzato e minorile). Ma ciò non toglie che, come rivelato da Reuters, le nuove installazioni solari negli Stati Uniti sono destinate a diminuire di quasi un quarto nel 2023, proprio a causa del blocco delle importazioni di pannelli e delle relative componenti dallo Xinjiang.

Secondo previsioni della Solar Energy Industries Association statunitense, le installazioni di pannelli e la realizzazione di nuovi parchi fotovoltaici, subiranno una contrazione del 40% a fine 2022, toccando i 10,3 gigawatt. Ma soprattutto scendendo ancora nel 2023, del 23%. Secondo l’associazione, tale trend dovrebbe durare fino alla seconda metà del prossimo anno, con più di mille carichi di pannelli solari, per un valore di centinaia di milioni di dollari, a tutt’oggi bloccati nei porti statunitensi da quando, a giugno, è entrato in vigore l’Uyghur Forced Labor Protection Act.

E pensare che nei piani della Casa Bianca, c’è l’obiettivo di portare a un terzo la quota di energia elettrica prodotta complessivamente negli Stati Uniti nel 2035 dal fotovoltaico, per poi salire al 44-45% a metà secolo. Sarebbe un balzo notevole, dal momento che oggi il solare non supera il 3% del mix elettrico Usa, con 76 GW di potenza cumulativa installata, di cui 15 GW aggiunti nel 2020. Bisognerà trovare altre filiere e altri produttori

×

Iscriviti alla newsletter