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L’Europa (in)difesa. Tutte le mosse di Bruxelles

Il soft power degli Usa passa per la legge sullo Xinjiang. Pelanda spiega perché

L’economista e grande esperto di Asia a Formiche.net: con simili provvedimenti Washington tiene a bada la Cina nel suo appoggio alla Russia. Se esagera, arrivano nuove sanzioni. La transizione ecologica americana non è a rischio, semmai è l’Europa che non ha deciso come fare la propria…

Una legge tosta, che qualcuno considera un boomerang. Lo scorso martedì è entrata in vigore negli Usa la norma che vieta l’importazione di beni la cui filiera produttiva è legata allo Xinjiang. Ovvero la regione cinese dove a partire dal 2017 Pechino ha incarcerato almeno 1,5 milioni di uiguri, minoranza musulmana, applicando parallelamente un regime di lavoro forzato.

Con tale legge, per avere il via libera all’import, anche di prodotti realizzati al di fuori del Dragone con materie prime provenienti dallo Xinjiang, le aziende americane dovranno dimostrare che nella realizzazione non è stato utilizzato il lavoro forzato degli uiguri. Fin qui tutto bene, se non fosse che secondo il New York Times, la legge complica i piani di circa un milione di aziende: nella provincia del Dragone viene prodotto il 40% del polisilicio, elemento indispensabile alla realizzazione delle celle fotovoltaiche (il 95% dei pannelli presenti sul mercato ne contiene una parte). Insomma, tale provvedimento può in qualche modo e forma pregiudicare la transizione americana? Secondo l’economista Carlo Pelanda, assolutamente no.

“La legge varata dagli Stati Uniti fa parte di un pacchetto più importante. Dunque non è una novità inaspettata”, premette Pelanda. “Il senso secondo me è da ricercare in un messaggio che Washington ha voluto dare a Pechino. Come a dire, attenta a quello che fai con la Russia, altrimenti arrivano altre sanzioni. A occhio possiamo dire che la Cina viene tenuta buona dagli Stati Uniti, dicendo che se ci fosse un appoggio incondizionato e muscolare alla Russia allora ci sarebbero altre sanzioni”.

C’è però un tema industriale, a cui gli Stati Uniti non possono sottrarsi. E cioè, come detto, l’enorme quota di mercato detenuta dallo Xinjiang in termini di materie prime per i pannelli solari. Ma Pelanda ha pochi dubbi. “Mi pare un non problema, gli Usa sono pronti a questo, il fatto è che certe componenti in Cina costavano meno ma non è un problema di avere tali materie o non averle. E poi scusi, basta fare una robusta operazione di reshoring“. Ancora Cina, ancora Russia. “Mettiamoci in testa che la Cina dà pieno sostegno alla Russia ma non lo fa apertamente. E gli americani se ne sono accorti, sentendo l’esigenza di marcare il territorio, con questo tipo di operazioni”.

E l’Europa? Al momento Bruxelles non si è allineata agli Stati Uniti, ma è probabile che l’amministrazione Biden farà pressione perché prenda misure analoghe. “Il Parlamento europeo ha appena varato lo stop dal 2035 alle auto a combustione interna per rimpiazzarle con quelle elettriche, deve capire se e come far poggiare la transizione verde sullo sfruttamento altrui. Qualora l’Europa si allineasse agli Usa, sarebbe una enorme svolta, soprattutto per la Germania, che abbandonerà il mercantilismo. Però, onestamente, dubito che l’Ue si allineerà in tutto e per tutto agli Usa”.

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