Mercoledì si è tenuto il primo vertice tra i leader dei Membri dell’Ue e dell’Asean (Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico), in celebrazione dei 45 anni di relazioni diplomatiche. L’Italia ha ricoperto un ruolo importante nella cooperazione politica e commerciale con la regione. Ne abbiamo parlato con Valerio Bordonaro, Direttore dell’Associazione Italia-Asean
Mercoledì si è tenuto il primo vertice tra i leader dei Membri dell’Ue e dell’Asean (Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico), che celebrava i 45 anni di relazioni diplomatiche. L’Italia ha ricoperto un ruolo importante nella cooperazione politica e commerciale con la regione. Ne abbiamo parlato con Valerio Bordonaro, Direttore dell’Associazione Italia-Asean e docente di storia del sud-est asiatico presso l’Università Sapienza di Roma.
Di cosa si occupa l’Associazione Italia-Asean?
L’associazione nasce alla fine del 2015 in concomitanza con la fine dell’esperienza di Enrico Letta nel parlamento italiano. Durante quell’anno era arrivata una segnalazione dalla Presidenza della Repubblica e dal ministero degli Esteri sul fatto che il mondo dell’impresa italiano avesse grandi interessi nel Sud-est asiatico, regione che proprio nel 2015 avviava l’Asean Economic Community (Aec). Un meccanismo di integrazione economica che si ispira al mercato unico europeo. All’epoca l’Italia non aveva tradizionalmente un focus diplomatico specifico sull’area asiatica – se non per le questioni cinesi, giapponesi, indiane – mentre l’Aec lasciava presagire che una configurazione di quel genere avrebbe reso l’area il quinto blocco economico mondiale. Il ministero degli Esteri non aveva grandi risorse da investire nel Sud-est asiatico, ma esisteva la necessità da parte delle aziende già presenti in loco di una maggiore attenzione.
Da qui l’idea di creare l’Associazione.
Esattamente. L’idea di Enrico Letta e altre persone di creare un’associazione no profit che avesse al suo interno una parte di sostenibilità economica – garantita dagli interessi privati, primo motore dell’iniziativa – e una parte istituzionale dello Stato italiano. Dunque un gruppo pubblico-privato che aiutasse l’Italia ad avere maggiori informazioni sul Sud-est asiatico, e il Sud-est asiatico ad avere un rapporto sistemico con l’Italia. E’ diventato poi molto importante negli anni il rapporto con European House Ambrosetti da cui è nato uno dei cardini della cooperazione politica Italia-Asean, il High-level dialogue on Asean-Italy economic relations. Il quale ha permesso di ottenere incontri ai massimi livelli tra i vertici italiani e quelli dei Paesi Asean, con il culmine raggiunto nel 2019 ad Hanoi, in Vietnam, nell’incontro tra Giuseppe Conte e l’omologo Nguyen Xuan Phuc. Tramite quel formato l’Italia è stata successivamente riconosciuta development partner dell’Asean. Quando poi Letta fu eletto segretario del Partito Democratico si dimise dalla posizione associativa.
Unione Europea e Asean sono “partner strategici” dal 2020. Cosa significa?
Il partner strategico è il “livello” successivo al partner di sviluppo. Nel concreto significa che si tengono degli incontri regolari tra organismi specifici legati a un framework strutturato di collaborazione. Quindi in questo caso, nel comunicato congiunto si leggono ben definiti per punti i capitoli della cooperazione, ad esempio pace e sicurezza, cooperazione economica e commercio, transizione digitale, eccetera. Quindi partnership strategica significa avere un framework di relazioni con focus specifici e dei momenti di confronto periodici, non occasionali.
Nella dichiarazione congiunta si parla di tutela dell’integrità territoriale dell’Ucraina. Un risultato importante anche perché alcuni membri Asean avevano votato a favore della Russia in sede Onu.
Se l’Unione Europea è in grado, tra mille difficoltà, di arrivare a posizioni comuni in materia di politica estera, per l’Asean non è così, per varie ragioni. La prima è che i livelli di sviluppo dei vari membri sono molto diversi. Ci Paesi che sono perfettamente integrati nelle catene del valore globali, nel commercio, nella finanza, che quindi vedono come fumo negli occhi le tensioni internazionali, i cambiamenti all’ordine costituito. Ce ne sono altri, meno legati alle catene del valore, che possono esprimere posizioni più ideologiche.
Quello che spesso succede nel mondo è che i Paesi più in difficoltà creino legami di solidarietà con quelli che noi consideriamo avversari strategici, la Cina e la Russia. Il ruolo della Russia nel Sud-est asiatico secondo me è residuale, però il legame Russia-Cina pesa comunque. Quindi sull’Ucraina riescono a dire che si condanna l’aggressione di Mosca, ma non riescono ad esprimersi nello stesso modo, per esempio, in seno alle Nazioni Unite. Tanto che il comunicato congiunto dice che “la maggioranza dei Membri condanna fermamente [l’aggressione all’Ucraina]”. La maggioranza, non tutti, altrimenti una dichiarazione congiunta non si riesce ad avere. Il punto importante è che lo zoccolo duro dell’Asean, sulla questione ucraina, ha una posizione molto chiara, che non è quella pregiudiziale ideologica, ma è quella legata al business.
In che senso?
Noi viviamo nel mondo globalizzato delle catene del valore. Ad esempio, Singapore non potrebbe essere un hub logistico e finanziario, se non esistessero catene del valore lunghe. L’Indonesia non potrebbe essere un attore importante del G20, se non avesse rapporti con tutto il mondo. In questi anni abbiamo visto i problemi di approvvigionamento legati alle supply chains, con il Covid prima e con la guerra in Ucraina dopo. Quella parte del mondo che è l’Asean ha beneficiato enormemente dell’essere inserita nelle catene del valore occidentali. Per loro la guerra in Ucraina è un gigantesco problema per le difficoltà che crea, ad esempio, nel trasporto aereo e marittimo, nella scarsità di alcune materie come i cereali, ma non solo. Insomma, se l’Asean avesse una posizione internazionale come ce l’ha l’Unione Europea, si esprimerebbe platealmente contro la guerra in Ucraina.