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L’artiglieria Usa per l’Ucraina passa da Israele. Scenari per Bibi

Di Emanuele Rossi e Gabriele Carrer

Gli Stati Uniti useranno scorte in comune con Israele per rifornire l’Ucraina. Munizioni di artiglieria arriveranno a Kiev, che ne ha bisogno perché dal campo passerà, nei prossimi mesi, una fase che potrebbe essere decisiva per la sconfitta della Russia. Cosa significa per i rapporti tra Gerusalemme e Mosca?

Secondo un articolo informato del New York Times, frutto del lavoro di cinque giornalisti, il Pentagono sta attingendo a una vasta ma poco conosciuta scorta di munizioni americane in Israele per aiutare a soddisfare il disperato bisogno dell’Ucraina di proiettili di artiglieria davanti all’invasione della Russia di Vladimir Putin. Funzionari americani e israeliani hanno fornito le informazioni, aprendo a una serie di considerazioni a proposito del ruolo che Israele vuole svolgere sull’invasione russa.

La scorta a cui si fa riferimento è quella che ha fornito armi e munizioni ai soldati americani impegnati sui fronti mediorientali. Su di esse c’è un accordo tra Israele e Stati Uniti per consentire al primo di accedere a quelle riserve in caso di emergenza. Ora che il conflitto ucraino è diventato una guerra guidata dall’artiglieria – come dimostra anche la discussione in corso sull’assistenza europea e sui carri armati a Kiev – quelle provviste diventano importanti.

L’Ucraina ha esaurito le munizioni per le sue armi (d’era sovietica) ed è passata in gran parte a sparare con artiglieria e proiettili donati dagli Stati Uniti e da altri alleati occidentali. Nei prossimi mesi, sulla base dell’arrivo di nuove forniture, Kiev potrebbe essere in grado di preparare controffensive importanti davanti alle quali indurre Mosca a un sostanziale arretramento – determinante per il procedere eventuale dei negoziati.

In questo quadro, e considerato il ruolo che l’artiglieria ha nell’attuale fase del conflitto, le munizioni che arriveranno dai magazzini israeliani potrebbero permettere all’Ucraina di tenere più a lungo il fronte e gli Stati Uniti intendono attingere a ogni riserva – come già fatto con forniture passate dalla Corea del Sud – pur di garantire agli uomini del presidente ucraino Volodymyr Zelensky tutta la potenza di fuoco necessaria. Per questo obiettivo chiedono l’appoggio di un alleato cruciale come Gerusalemme.

Se da un lato le informazioni del New York Times raccontano della determinazione statunitense, dall’altra parlano di come Israele stia cercando di gestire al meglio le sue attività all’interno del conflitto. Israele ha costantemente rifiutato di fornire armi all’Ucraina per paura di danneggiare le relazioni con Mosca. Si tratta di un rapporto di interesse per lo Stato ebraico: Israele conduce dal 2013 raid aerei all’interno della Siria per bloccare il passaggio di armi con cui i Pasdaran riforniscono gruppi armati come Hezbollah o quelli palestinesi. Per farlo, deve passare dai cieli di Damasco, che sono controllati dai russi, i quali chiudono (chiudevano, chiuderanno ancora?) più di un occhio nonostante i raid israeliani si dirigano verso alleati del Cremlino.

Ora il nuovo governo di Benjamin Netanyahu – politico con relazioni dirette e personali con Vladimir Putin – cambia parzialmente rotta? Il nuovo esecutivo ha ereditato una politica di maggior vicinanza all’Ucraina guidata dagli ex primi ministri Naftali Bennett (a cui Putin arrivò a chiedere scusa per le esternazioni antisemite del suo ministro degli Esteri Sergej Lavrov) e Yair Lapid (ministro degli Esteri oltre che premier ad interim). Axios ha rivelato che secondo le valutazione di difesa e intelligence israeliane, la Russia non vedrebbe questa recente mossa come un cambiamento di politica da parte di Israele, perché non si tratta di munizioni israeliane. Ma forse la notizia – diffusa da uno dei quotidiani più importanti degli Stati Uniti – potrebbe evitare che, come auspicato dal ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen, si parli “di meno in pubblico” di Ucraina in Israele. Un’ipotesi temuta a Washington e percepita come un possibile passo indietro rispetto a quanto fatto da Lapid, che certo poteva contare su maggiore sintonia con l’amministrazione Biden rispetto a Netanyahu.

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