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Cosa vogliamo dalla Befana del governo Meloni

Cosa vogliano trovare nella calza che ci porterà la prima Befana del governo di Giorgia Meloni e che apriremo, dopo trepida attesa, domani mattina 6 gennaio? Parlo, ovviamente, per me ma credo di interpretare i sentimenti di molti concittadini. L’intervento di Giuseppe Pennisi

I presidenti del Consiglio sono un po’ il Babbo Natale e la Befana a cui si rivolgono i cittadini per avere esauditi i loro desideri, anche i più riposti. Alla fine del 2022, la grande maggioranza “silenziosa” voleva che fosse approvata una legge di bilancio, fatta in fretta e furia e che non accoglieva le attese di tutti. Al contrario, una minoranza “rumorosa” sperava che si dovesse fare ricorso all’”esercizio provvisorio”, per dare uno smacco al governo appena in carica. Senza contare che tale smacco lo avrebbero pagato tutti gli italiani con un aumento dello spread e difficoltà di collocamento del debito pubblico cresciuto a dismisura in questi ultimi dieci anni,

Cosa vogliano trovare nella calza che ci porterà la Befana del governo di Giorgia Meloni e che apriremo, dopo trepida attesa, domani mattina 6 gennaio? Parlo, ovviamente, per me ma credo di interpretare i sentimenti di molti concittadini.

Innanzitutto, desideriamo stabilità. Un bene quanto mai importante dopo dieci anni in cui si sono succeduti sette governi con sei presidenti del Consiglio – uno è stato presidente di un governo formato da un movimento anti-sistema e di un partito di destra e subito dopo di un governo in cui il movimento anti- sistema si è alleato (i maligni dicono “al fine di restare sistemato”) con partiti di sinistra. Nell’esaminare il decennio appena trascorso, nel libro “L’inquilino” (Feltrinelli 2022), Lucia Annunziata (che non può essere certo tacciata di avere contiguità politiche con il centrodestra) ricostruisce meticolosamente, in circa 600 pagine, questi dieci anni. Se ne ricava un quadro desolante: governi tormentati quasi dal giorno successivo della loro entrata in carica, non tanto per differenze di “visione politica” ma per questioni di potere, prima tra tutte “le nomine” nella galassia delle società a partecipazione statale. Altra connotazione del decennio: la presenza in quasi tutti i sette governi di un Partito democratico, Pd, nato “a vocazione maggioritaria” e ridotto ad uno “scampolo” come quelli che si offrono a prezzo scontato nelle liquidazioni che iniziano, di solito, subito dopo l’Epifania.

Cosa può fare la Befana di Meloni per dare stabilità? In primo, all’interno del governo che lei guida, mettere la mordacchia (come al Papageno mozartiano) ad un “grillo parlante” che cerca il consenso di sparute minoranze “rumorose” (balneari, tassisti, piccoli esercenti che non vogliono modernizzarsi). Alla ricerca di questo consenso, ha perso più della metà dei voti ricevuti alle ultime elezioni europee, rischia scissioni del movimento politico di cui crede di essere alla guida. Gli dica, a muso duro, come sapeva fare Margaret Thatcher, “Componiti!!”. Sono stato a lungo amico del suo Consigliere economico, Alan Walters, (mio collega in Banca mondiale prima di entrare in politica attiva) e ho contezza della speditezza ed efficacia con cui sapeva mettere in ordine chi aveva atteggiamenti che mettevano a rischio il suo governo che durò dal 1979 al 1990. Anche lei, era la prima donna ad essere Primo Ministro in Gran Bretagna.

Una volta che il “grillo parlante” si è calmato e si ha un governo coeso, si può lavorare ad un programma di legislatura per un’Italia più moderna e più giusta, come desidera la grande maggioranza degli italiani.

Ciò richiede riforme di due tipologie: riforme mirate a promuovere un aumento della produttività e riforme dell’assetto istituzionale. Le prime sono dettagliate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che – vale la pena ricordarlo – non è un “libro dei sogni” elaborato nell’ufficio studi di un ministero o in Istituto di ricerca, ma un “contratto” vincolante concluso dall’Italia con tutti gli altri Stati dell’Unione europea. Attuare puntualmente le riforme là contemplate, e gli investimenti previsti nel Pnrr  per accompagnarle, sarebbe un passo importante per tornare alla crescita nella stabilità. Sempre che dalla Cina non arrivi una nuova ondata di varianti del Covid-19 e di infezioni e che si riesca a fermare la Federazione russa dalle sue aggressioni.

E la “grande riforma istituzionale”? Il quadro si fa molto complesso. “Importare” il semi-presidenzialismo francese o il cancellierato-premieriato tedesco non si può fare facilmente senza profonde modifiche della Costituzione. Dovrebbe essere un lavoro parallelo a quello dell’attuazione del Pnrr, senza sovrapporsi ad esso e, soprattutto, senza intralciarlo.

Aspettiamo la calza.

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