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Non esiste il Centro senza i cattolici-popolari

Quello che conta ora è riorganizzare e ricomporre l’area Popolare nel nostro Paese. Un processo che parte dalla base e che è in corso ormai da mesi a livello delle singole regioni e che troverà la sua completezza in una convention nazionale della medesima area popolare nelle prossime settimane. Il commento di Giorgio Merlo

La recente manifestazione dei liberal/democratici a Milano per sottolineare le ragioni politiche dell’adesione al progetto centrista del Terzo polo è un fatto indubbiamente importante per fare chiarezza nella cittadella politica italiana. Preso atto, contemporaneamente, che nel “nuovo Pd” caratterizzato irreversibilmente a sinistra la presenza dei cattolici popolari è ormai un fatto del tutto irrilevante ed ornamentale, è indubbio però che un Centro senza la presenza attiva e decisiva della tradizione del cattolicesimo politico, semplicemente non esiste.

E questo non solo perché è una costante storica della politica italiana ma per la semplice ragione che il Centro e una “politica di Centro” non possono fare a meno, nel nostro Paese, dell’apporto di questo filone ideale. Del resto, è appena il caso di ricordare che in tutti i tornanti più delicati ed importanti della democrazia italiana il contributo della cultura cattolico-popolare, attraverso l’azione concreta delle donne e degli uomini che si riconoscevano in quella tradizione, è stato determinante.

Certo, la stagione che si è aperta dopo la lunga fase della prima repubblica è stata, ed è, alquanto confusa e travagliata. Ma un elemento continua ad essere sufficientemente chiaro ed oggettivo. E cioè, il Centro e la “politica di Centro” non possono essere semplicisticamente espulsi dal confronto politico nel nostro Paese. Né attraverso sofisticherie politologiche e né, tantomeno, attraverso decisioni che prescindono dal concreto dibattito quotidiano. E questo si impone non solo perché nel nostro Paese la radicalizzazione del conflitto politico non ha mai avuto vita lunga ma anche per il semplice motivo che i problemi politici si affrontano e si risolvono solo attraverso gli ingredienti culturali e di “metodo” che sono riconducibili alla cultura di Centro.

Ecco perché il Centro nel nostro Paese non può ridursi ad essere, seppur in forma aggiornata e rivista, ad una sorta di “partito repubblicano o liberale di massa”. Di massa, come ovvio, si fa per dire. Del resto, se le parole di Renzi e di Calenda al recente convegno milanese hanno un seguito, e cioè l’apertura ad altre culture politiche, ad altri segmenti sociali e ad altri pezzi di società, allora può decollare realmente una offerta politica di Centro. Ma tutto ciò, come ovvio e scontato, deve concretizzarsi e non solo nelle promesse convegnistiche. Al riguardo, è di tutta evidenza che molto dipende anche dal profilo politico, culturale e programmatico che si vorrà assegnare al futuro di un Centro riformista, democratico e di governo nel nostro paese.

Per il momento, comunque sia, quello che conta è riorganizzare e ricomporre l’area Popolare nel nostro Paese. Un processo che parte dalla base e che è in corso ormai da mesi a livello delle singole Regioni e che troverà la sua completezza in una convention nazionale della medesima area Popolare nelle prossime settimane. Dopodiché si valuterà concretamente chi vuole investire sul Centro per innovare e, al contempo, per rinnovare realmente la politica italiana recuperando un patrimonio e una prassi che in questi ultimi anni si sono colpevolmente piegati di fronte alla sub cultura del populismo e a tutti i disvalori che quella malapianta ha seminato nel nostro Paese. A partire dalla politica e dalle sue istituzioni democratiche.



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