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Clima e natalità sono le vere urgenze dell’economia. Parlano i dati

Sono i veri game changer per l’economia. Al futuro serve un cambio di gioco. Non trattiamoli come elefanti nella stanza o come mere questioni sociali. Non ci sarà sviluppo in Italia e in Europa senza sostenibilità ecologica e demografica. L’intervento di Romana Liuzzo, presidente Fondazione Guido Carli

Il futuro non esiste se non al presente. Le due emergenze dell’economia da cui dipende il nostro avvenire – cambiamenti climatici e inverno demografico – scorrono ogni giorno davanti ai nostri occhi chiare e inoppugnabili come in un documentario, ma spesso fingiamo di non vederle: sono gli elefanti nella stanza, non soltanto in Italia. Eppure proprio nel nostro Paese, il secondo più vecchio del mondo dopo il Giappone e il più squilibrato nei rapporti tra le generazioni a causa della penuria di giovani, questi fenomeni si saldano, mostrando clamorose assonanze.

La prima: entrambi i temi sono stati trattati per anni come mere questioni sociali, relegate spesso a dibattiti tra addetti ai lavori. C’è voluta un’enciclica di Papa Francesco, Laudato Si’, perché si comprendesse che crisi ambientale, crisi sociale e crisi economica non sono separate e che la responsabilità dell’essere umano nei confronti del Creato implica il dovere di combattere la «cultura dello scarto» attraverso nuovi modelli produttivi. È dovuta scendere in campo una giovanissima Greta Thunberg perché il clima diventasse una sfida planetaria, la più importante per la Generazione Z, quella dei nati dopo il Duemila. Abbiamo visto crescere, anno dopo anno, le vittime di frane ed eventi meteo estremi, come le alluvioni: numeri drammatici in un Paese come il nostro, in cui quasi il 91% dei Comuni è a rischio dissesto idrogeologico.

È passato quasi inosservato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, lungamente atteso e adesso aggiornato dal Governo: sulla base di 27 indicatori climatici, ci racconta l’Italia fragile di oggi (il 2022 è stato l’anno più caldo dal 1961), ma soprattutto le variazioni attese domani. Per nulla rassicuranti: corriamo il pericolo di aumenti della temperatura media da 1 a 5° nel 2100, di maggiori episodi di siccità e di ondate di calore, di un incremento del 20% degli incendi. Le conseguenze calcolate sull’economia dovrebbero far riflettere tutti: si stima che per il settore dei trasporti l’impatto diretto associato agli eventi estremi, che oggi è pari a 0,15 miliardi di euro l’anno, potrebbe salire del 1.900% entro il 2024-2070. Due gradi di temperatura in più significherebbero perdite da 17 miliardi per il turismo; quattro gradi in più potrebbero causare perdite da 52 miliardi. A quel punto, solo il 18% delle stazioni sciistiche dell’arco alpino avrebbe neve a sufficienza per garantire la stagione invernale.

Considerando ciò che sta avvenendo sugli Appennini, dove per l’assenza di neve si stimano danni per 50 milioni di euro, il futuro è già qui, ben radicato nel presente e molto più veloce del ritmo a cui sta viaggiando la transizione ecologica, rallentata da fattori esogeni (la guerra in Ucraina e la crisi dell’energia) ed endogeni (i blocchi della burocrazia, evidenti ad esempio nelle procedure di autorizzazione degli impianti fotovoltaici).

Sul declino demografico, il copione è stato simile: dal 2009 le nascite sono diminuite del 30%, ma i periodici allarmi degli esperti sono caduti nel vuoto (e qui sta la seconda assonanza). Per decenni abbiamo pensato di dover liberare le donne dalla schiavitù della maternità; oggi ci siamo resi conto di dover restituire alle donne il diritto di essere madri. È mancata la costruzione di un sistema strutturale lungimirante, oltre i bonus estemporanei, capace di infondere fiducia nella bellezza dell’essere genitori. Abbiamo dovuto incassare il colpo di un altro record minimo dei nuovi nati certificato dall’Istat (400.249 nel 2021, l’1,1% in meno rispetto al 2020 e il 31% in meno rispetto al 2008) perché la natalità entrasse di diritto nell’agenda del governo, con la parola stessa entrata a far parte della nuova denominazione del ministero della Famiglia e delle Pari opportunità. Una centralità suggellata dal primo incontro, lo scorso 10 gennaio, tra il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Pontefice, che ha sottolineato come «in alcuni contesti, penso ad esempio all’Italia» sia «in atto un pericoloso calo della natalità, un vero e proprio inverno demografico, che mette in pericolo il futuro stesso della società».  Il conto è presto fatto. Con l’aumento della popolazione over 65 (ora al 23% del totale, è attesa al 35% nel 2050) e la diminuzione degli under 14 (oggi il 13%, nel 2050 l’11,7%) è come se, nella piramide che raffigura la struttura della popolazione, la base si stesse sgretolando. La fetta di italiani in età lavorativa è destinata a eguagliare quella in età non lavorativa entro 27 anni. Senza correttivi, rischiamo ripercussioni pesantissime.

Se uniamo gli scenari e le previsioni, l’Italia tra settant’anni si profila come una nazione più piccola – con meno abitanti, meno giovani e più anziani – ma anche più calda e più scossa da eventi climatici estremi. La fortuna è saperlo. Questo fa della natalità e della lotta al cambiamento climatico i veri game changer: le carte di cui disponiamo per cambiare l’esito del gioco, i fattori chiave per ribaltare il tavolo e promuovere lo sviluppo economico e il benessere della popolazione in Italia e in Europa. Con il Next Generation Eu e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza il percorso è stato avviato. Ora bisogna insistere. «La speranza è un rischio da correre», amava ripetere mio nonno, Guido Carli. Il prossimo 23 aprile ricorrerà il trentennale della sua scomparsa. La Fondazione che porta il suo nome e che mi onoro di presiedere continuerà a fare la sua parte per costruire, nel presente, un futuro diverso.

 

 



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