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Climeworks, inizia la corsa degli impianti di cattura e stoccaggio della CO2

Climeworks CCS

In Islanda è partito il progetto più avanzato di cattura diretta e stoccaggio dell’anidride carbonica. È l’apripista di un’industria che promette di sottrarre i gas serra dall’aria. Ma la sfida è commerciale prima che tecnica – e la soluzione per ora è solo “omeopatica”

Giovedì, tra i ghiacci dell’Islanda, uno stabilimento unico nel suo genere ha dato una svolta alla sua solitaria battaglia contro il riscaldamento globale. Il progetto è di Climeworks, una startup svizzera leader nel settore nascente della rimozione della CO2. Si propone di catturare dall’atmosfera e stoccare sottoterra il gas climalterante per poi vendere alle aziende dei “crediti di carbonio” equivalenti a quanto catturato, cosicché queste ultime possano compensare (offset) parte delle loro emissioni per raggiungere la neutralità carbonica. E il 12 gennaio ha venduto i suoi primi crediti.

Si tratta di un esperimento sia dal punto di vista tecnico che da quello della fattibilità commerciale. Il processo è abbastanza lineare: i macchinari aspirano l’aria, filtrano la CO2 e la pompano in apposite caverne sotterranee, un processo noto come carbon capture and storage o Ccs. La sfida non sta tanto nel processo in sé, quanto nella sua scalabilità. L’impianto islandese, il più grande al mondo, può sottrarre solo 4.000 tonnellate di anidride carbonica all’anno, che equivalgono più o meno alle emissioni annuali di 800 auto.

Il secondo aspetto, strettamente legato al problema della scalabilità, è rendere l’operazione profittevole. Climeworks (che non dichiara esattamente quanta CO2 ha rimosso dall’atmosfera, ma fa certificare il processo di rimozione da terzi) è partita in quarta grazie a clienti importanti – Microsoft, Shopify e Stripe – disposti a pagare centinaia di dollari per ogni credito, che equivale a una tonnellata di CO2. Il motivo del surplus, spiega il Wall Street Journal, è assicurarsi che la CO2 venga effettivamente sottratta.

I progetti esistenti di solito promettono ai clienti di piantare alberi per compensare le emissioni, ma sono ampiamente criticati dagli osservatori del settore per via dei processi opachi e del fatto che alcuni si basano sul mantenere in piedi alberi esistenti anziché piantarne di nuovi. Inoltre, a detta degli attivisti, concentrarsi sulla cattura e lo stoccaggio delle emissioni sottrae attenzione e finanziamento dalle soluzioni più efficaci – leggi: ridurre le emissioni – per poi andare a incidere molto poco sulla quantità di CO2 presente in atmosfera. Per non dire che la soluzione Ccs potrebbe fornire una scusa alle politiche di sostegno ai combustibili fossili.

Dunque le aziende sopracitate preferiscono pagare i crediti anche centinaia di volte in più rispetto a quelli di base. Questo è il campo in cui Climeworks e le sue concorrenti si propongono di rivoluzionare il settore. Partendo dalla consapevolezza che l’emergenza climatica richiede un mix di soluzioni, tra cui inevitabilmente anche la cattura e lo stoccaggio della CO2 (cosa che hanno convalidato gli scienziati), le aziende vogliono abbassare il prezzo dei crediti – mantenendosi nel frattempo grazie ai clienti “virtuosi”, che guadagnano in ritorno d’immagine – per far partire molti più impianti e rimuovere una quantità più significativa di gas climalterante dall’atmosfera.

Per la scienza, le tonnellate da rimuovere ogni anno per evitare gli effetti peggiori del riscaldamento globale sono nell’ordine dei miliardi. Secondo il fornitore di dati CDR.fyi (via WSJ), le aziende di tutto il mondo hanno finora accettato di acquistare crediti equivalenti a più di 700.000 tonnellate di CO2, ma i numeri sono in crescita. La stessa Climeworks, che ha raccolto 650 milioni di dollari dagli investitori e un miliardo dal fondo del clima di Microsoft, sta costruendo un altro impianto in Islanda capace di rimuovere 36.000 tonnellate all’anno.

Difficile pensare di innescare la nascita di questo settore senza aiuti statali. Climeworks sta puntando all’espansione negli Stati Uniti, dove il governo ha già stanziato circa 3,5 miliardi di dollari per sviluppare quattro hub regionali – e messo da parte, con l’Inflation reduction Act, i fondi per garantire un sussidio governativo per ogni tonnellata di CO2 rimossa dai 50 agli 85 dollari. Nel mentre, anche diverse realtà europee si stanno muovendo nel settore, mentre Bruxelles intende incentivarlo anche attraverso architetture “laterali”, come la tassa di aggiustamento del carbonio al confine (Cbam).

Immagine: Climeworks

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