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Un consigliere per la sicurezza nazionale? I dubbi di Elio Vito

Le esigenze e le difficoltà del settore della sicurezza e della difesa sono mutate e aumentate. Ma proprio per questo, bisognerebbe procedere con prudenza evitando di mettere mano in modo superficiale e approssimativo all’impianto normativo che struttura tale settore. Il commento di Elio Vito

Aiuto! Qualcuno aiuti il Parlamento italiano a non combinare danni, in uno dei momenti più difficili della storia contemporanea e in uno dei settori più delicati, quello della sicurezza nazionale.

Che le esigenze e le difficoltà del settore della sicurezza e della difesa siano in parte mutate e comunque certamente aumentate, è fuori discussione. Ma da qui a voler mettere mano, in modo superficiale e approssimativo, all’impianto normativo che struttura tale settore ce ne corre. Anzi, proprio la delicatezza del momento, dovrebbe consigliare prudenza ed evitare pericolosi salti nel buio.

Il dibattito, recentemente aperto con la proposta, per la verità non nuova, del direttore di Repubblica di istituire anche in Italia la figura del Consigliere per la sicurezza nazionale, analogamente a quanto esiste in alcuni altri Paesi, deve tenere conto di alcuni aspetti, tipici del nostro ordinamento, che sarebbe bene non scardinare.

In Italia, il capo delle Forze armate è il Capo dello Stato, garante dell’unità nazionale, e questo fondamentale principio costituzionale non deve e non può essere messo in discussione, mentre la massima autorità di sicurezza nazionale è quella del ministro dell’Interno ed è un bene democratico che sia così e che così resti. Il Capo dello Stato riunisce periodicamente (non straordinariamente) il Consiglio supremo di Difesa che assume le decisioni strategiche, mentre il ministro competente, quello della Difesa, presenta annualmente al Parlamento sia il relativo Piano programmatico pluriennale relativo alle spese per la difesa che la richiesta di autorizzazione alla partecipazione dei nostri militari alle missioni internazionali. Non si vede, francamente, la necessità di cambiare questo impianto normativo, che ben coinvolge i diversi poteri dello Stato.

La tradizione del nostro Paese, inoltre, prevede la presenza di diverse forze dell’ordine e di vari corpi, a ordinamento sia civile sia militare, che svolgono diverse funzioni di sicurezza e prevenzione. Gli organismi e le strutture di coordinamento esistono già e funzionano egregiamente. Le agenzie d’intelligence, Aise ed Aisi, hanno a loro volta un elemento di coordinamento, il Dis, un dipartimento istituto presso la presidenza del Consiglio. Ed è giusto che l’intero comparto, insieme a quello della sicurezza cibernetica, faccia capo direttamente al presidente del Consiglio, che può delegare solo alcune funzioni a una apposita Autorità (per la verità sarebbe stato preferibile che tale autorità potesse continuare a svolgere questa intensa attività in via esclusiva). La legge prevede anche un organismo collegiale di governo, il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, che, come abbiamo più volte rilevato, potrebbe utilmente essere riunito più frequentemente.

In che modo si inserirebbe in tale contesto questo consigliere per la sicurezza nazionale non è chiaro. È importante che le attuali competenze di ordine pubblico affidate al ministro dell’Interno restino separate da quelle della Difesa e, soprattutto, da quelle relative alle attività di intelligence. È una questione dirimente per il nostro assetto costituzionale e per la nostra vita democratica.

O si pensa per questa via, anzi per questa scorciatoia, di anticipare riforme costituzionali che vorrebbero unire le figure del capo del governo, del potere esecutivo, con quella del Capo dello Stato, garante? d, infine, per quale motivo di tale questione, di tale proposta, se ne dovrebbero occupare, se è vero quanto abbiamo letto, le commissioni Esteri e Difesa? Non hanno competenze in questa materia. Come possono i presidenti delle Camere autorizzarle a occuparsi di quello che non compete loro?

Esiste la competenza primaria della Commissione affari costituzionali e dell’interno dove si è sempre discusso di questi aspetti e dove, tra l’altro, fu esaminata e votata anche la legge di riforma dei servizi d’intelligence, con il contributo dell’organismo parlamentare di controllo, il Copasir, che pure sarebbe opportuno coinvolgere.

In conclusione, l’Italia ha un suo sistema costituzionale e un suo ordinamento legislativo, ha una sua pluralità di componenti e di forze che interagiscono funzionalmente per concorrere ad assicurare la nostra sicurezza e la nostra difesa, pluralità che è sempre anche garanzia di democraticità. Altri modelli e altre figure funzionano in altri sistemi istituzionali e importarli in Italia imporrebbe veramente modifiche anche costituzionali, che non possono essere considerate al di fuori di un quadro più ampio.

Ha ragione chi ha scritto su queste colonne, Adriano Soi, che sarebbe saggio, prima di cambiare le cose, provare a far funzionare quelle che già esistono e che spesso la migliore riforma consiste semplicemente nell’ applicare le leggi esistenti ed attuare la nostra Costituzione.

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