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Brasile, cronaca di una crisi annunciata. E ora?

Giornata di caos nella capitale brasiliana, con l’invasione dei palazzi del Congressi, la presidenza e il Tribunale Supremo Federale. Sebbene gli episodi sembrino usciti dal manuale di strategia di Trump, ci sono profonde radici brasiliane e una grande paura…

È un déjà vu, triplicato e in un certo senso anche atteso, la crisi di queste ore in Brasile. Il governo di Luiz Inacio Lula da Silva ha decretato lo stato di emergenza, chiedendo l’intervento federale nella capitale di Brasilia, dopo che un gruppo violento di sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro ha invaso i palazzi del Congresso Nazionale, la presidenza e il Tribunale Supremo Federale.

Una giornata di caos totale, che ha ricordato gli eventi del 6 gennaio del 2021 al Capitol Hill degli Stati Uniti in mano ai simpatizzanti dell’ex presidente americano Donald Trump. L’ex presidente Bolsonaro, che si trova in Florida, Stati Uniti, ha twittato che condanna gli episodi di violenza e ha respinto le accuse di Lula di avere avuto un ruolo negli attacchi.

“Le manifestazioni pacifiche fanno parte della democrazia – ha scritto Bolsonaro -. Tuttavia, le depravazioni e invasioni di palazzi pubblici come quelle accadute oggi (ieri, ndr), così come quelle fatte dalla sinistra nel 2013 e nel 2017, fuoriescono dalla regola. Nel mio mandato mi sono sempre mantenuto dentro le quattro linee della Costituzione, rispettando e difendendo le leggi, la democrazia, la trasparenza e la nostra sacra libertà. Inoltre, repudio le accuse, senza prove, che mi ha attribuito l’attivo capo dell’esecutivo del Brasile”.

Ore dopo l’inizio dell’attacco, le autorità brasiliane hanno annunciato di aver recuperato il controllo delle installazioni, ma la tensione resta. I sostenitori di Bolsonaro chiedono l’intervento militare e le dimissioni di Lula da Silva, argomentando che le ultime elezioni presidenziali di ottobre sono state una truffa.

Per Lula da Silva, che si è insediato il 1° gennaio, si tratta di un tentativo di colpo Stato e di azioni di terrorismo “senza precedenti nella storia del Paese”, per cui ha chiesto l’intervento federale. Il Tribunale Supremo del Brasile ha destituito il governatore del distretto di Brasilia, Ibaneis Rocha, presunto promotore degli attacchi.

“Indagheremo anche su chi ha finanziato questi vandali – ha dichiarato Lula – che sono andati in Brasilia e tutti pagheranno con la forza della legge per il gesto irresponsabile, il gesto antidemocratico, un gesto da vandali e fascisti”. Il centro di Brasilia è stato chiuso con l’obiettivo di garantire la sicurezza pubblica.

Per Katy Watson, corrispondente della Bbc a Sao Paulo, non si tratta solo di una protesta per la sconfitta elettorale di Bolsonaro: “Molti sostenitori con cui ho parlato negli ultimi mesi hanno detto che lui è meno rilevante di quanto fosse. I manifestanti più radicali vogliono soprattutto che Lula torni in carcere, non che sia al palazzo presidenziale. C’è paura per il comunismo, la visione erronea che Lula è un comunista sta alimentando l’ira. E Jair Bolsonaro è stato il canale di questa ira […] alcuni sostengono che Bolsonaro è irrilevante: che solo l’esercito può salvare il Brasile”.

La corrispondente spiega che il Brasile è un Paese dove il governo militare è ancora molto accettato da una parte della popolazione: “Allora, sebbene in molti sensi sembra uscito dal manuale di strategia di Trump, ci sono profonde radici brasiliane in tutto questo, e un ritorno alla paura al comunismo che risale ai tempi della Guerra fredda”.


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