Il noto cripto-prestatore si accinge a diventare l’ultima vittima dell’annus horribilis per le criptovalute, che ha visto il crollo di una lunga serie di capisaldi del settore
Tremori preannunciati nel mondo crypto. Il prestatore di criptovalute Genesis Global Capital si accinge (finalmente) a presentare istanza di fallimento, dopo aver vacillato per mesi. L’azienda diventerà l’ultima vittima eccellente a cadere dopo la sequela di bancarotte di altre realtà a cui aveva prestato denaro, tra cui l’hedge fund Three Arrows Capital, il broker Voyager, i prestatori Celsius e BlockFi e la piattaforma di scambio FTX, il cui crollo ha segnato il “momento Lehman Brothers” delle crypto.
Lo sviluppo era atteso da settimane. Proprio dopo la spettacolare dèbacle di FTX Genesis aveva bloccato i rimborsi. Dopodiché, a inizio gennaio, ha licenziato un terzo dei propri dipendenti per “affrontare le sfide senza precedenti del settore”. Ma l’azienda era troppo esposta ai giganti insolventi – come Alameda Research, la società di investimento attraverso cui il fondatore di FTX Sam Bankman-Fried si lanciava in operazioni spregiudicate – per continuare a operare.
È un bel grattacapo per Digital Currency Group, la società che controlla Genesis nonché l’asset manager Grayscale Investments, la testata di settore CoinDesk e altre aziende relative al mondo delle crypto (Foundry, Luno, TradeBlock e HQ). Barry Silbert, l’ad del cripto-impero, ha dichiarato la scorsa settimana al Wall Street Journal di essere indebitata con Genesis per oltre 447 milioni di dollari e 4.550 bitcoin (circa 95 milioni al momento della pubblicazione). Secondo il Financial Times il “buco” complessivo di Genesis supera i 3 miliardi. Pessime notizie per SoftBank, uno dei principali investitori dietro a DCG.
Sullo sfondo c’è anche la disputa legale tra Silbert e i gemelli Cameron e Tyler Winklevoss, fondatori della piattaforma di scambio Gemini, che per mesi ha offerto un programma di prestiti in collaborazione con Genesis. I due, a detta loro, sono in credito per 900 milioni di dollari. Non che le autorità ne vogliano prendere le difese a spada tratta: settimana scorsa la Securities and Exchange Commission statunitense ha accusato entrambe le aziende di aver venduto illegalmente titoli a centinaia di migliaia di investitori attraverso quel programma.
Insomma, sembra che il castello di carte (costruito su un’economia “drogata” da anni di tassi di interesse pari a zero) stia crollando. Oppure, per vederla dal lato dei crypto-ottimisti, le condizioni di mercato impietose stanno spazzando via tutte le realtà troppo fragili assieme a quelle sospette, o fraudolente. Dopo mesi di brutte notizie è arrivata una ventata d’aria fresca anche per loro: il valore delle crypto più importanti ha segnato una netta risalita negli scorsi giorni, complice il cauto ottimismo per l’economia globale che si respira in luoghi come Davos.
È presto per dire se il 2023 porterà ancora più sofferenza per quello che si è rivelato un settore altamente volatile, popolato da realtà dall’affidabilità quantomeno dubbia. È certo, invece, che il mondo crypto va incontro a una stretta regolatoria. Perlomeno in Europa, che ha in agenda il voto finale sulla normativa MiCA (Markets in Crypto Act) in aprile, che darà il via libera ai regolatori per lavorare sugli standard tecnici – un processo che dovrebbe durare tra i 12 e i 18 mesi. Per Stefan Berger, eurodeputato e membro della commissione economica del Parlamento europeo, i protocolli di trasparenza del pacchetto-legge dovrebbero impedire il ripetersi di un evento come il crollo di FTX.