Senza entrare nel merito delle scelte di politica criminale operate dal legislatore – al quale spetta il compito di individuare le condotte penalmente rilevanti – la disposizione, nella sua versione finale, è un più che accettabile compromesso che pone rimedio a molte delle criticità evidenziate negli scorsi mesi. L’opinione di Guido Stampanoni Bassi, avvocato e direttore della Rivista Giurisprudenza Penale
“Rave” si candida a diventare una delle parole dell’anno – o quantomeno di fine anno – visto il clamore suscitato dai provvedimenti del nuovo governo in tema di contrasto ai “raduni pericolosi”. Da eventi sconosciuti ai più, i rave party – definiti nell’Oxford Dictionary come “grandi feste, tenute all’aperto o in edifici vuoti, in cui si balla musica elettronica e spesso si assumono droghe illegali” – sono improvvisamente balzati agli onori delle cronache, addirittura al punto da indurre il governo ad intervenire con uno strumento che dovrebbe essere riservato a casi straordinari di necessità ed urgenza (art. 77 Cost.).
Dopo una prima proposta – contenuta, appunto, in un decreto-legge di fine ottobre e oggetto di profonde critiche, a reti unificate, da parte di avvocatura, magistratura e dottrina – il reato in esame è stato profondamente modificato attraverso una serie di emendamenti approvati in Commissione Giustizia al Senato in sede di conversione del decreto-legge prima citato.
A seguito delle modifiche apportate dal Senato, il testo è tornato alla Camera, ove è stato approvato il 31 dicembre 2022 – ultimo giorno utile per la conversione – con la seguente formulazione: “Chiunque organizza o promuove l’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento, è punito con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000, quando dall’invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o per l’incolumità pubblica a causa dell’inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi. È sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma, nonché di quelle utilizzate per realizzare le finalità dell’occupazione o di quelle che ne sono il prodotto o il profitto”.
Visto il clamore suscitato dalla prima versione, occorre interrogarsi sulla portata delle modifiche introdotte nonché sull’effettiva utilità del nuovo reato.
Al di là del ricorso allo strumento del decreto-legge – ritenuto dai più autorevoli commentatori una palese forzatura – le critiche alla prima versione hanno riguardato:
- l’indeterminatezza della norma (che, nel comma 1, non faceva altro che ribadire quanto già indicato in rubrica, non spiegando in cosa dovesse consistere la condotta penalmente sanzionata e in particolare, in quali casi la riunione fosse tale da porre in pericolo l’ordine pubblico);
- la presenza di riferimenti inidonei a definire l’offensività della condotta (quale quello della partecipazione di più di 50 persone);
il conseguente spazio di eccessiva discrezionalità del giudice;
la punibilità, oltre che dell’organizzatore, anche del mero partecipante al rave (con il rischio di “maxi processi” nelle ipotesi di raduni con grande affluenza); - l’eccessiva rigidità del trattamento sanzionatorio (ritenuto in contrasto con il principio di ragionevolezza della pena) e la possibilità di disporre le intercettazioni;
- l’inserimento della norma tra le ipotesi di pericolosità specifica di cui al codice antimafia, tale da consentire l’applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali;
Molti dei profili critici sopra sintetizzati sono oggi venuti meno e l’intervento parlamentare ci restituisce una norma più in linea con i principi costituzionali su cui poggia il nostro diritto penale.
Anzitutto, diversa è la collocazione del nuovo reato all’interno del codice penale: non più tra i reati contro l’ordine pubblico, bensì, più correttamente, tra i delitti contro il patrimonio, subito dopo – non a caso – la norma che già prima sanzionava l’invasione di terreni o edifici (art. 633 c.p.). È, inoltre, venuto meno il riferimento al codice antimafia, con conseguente impossibilità di ricorrere alle misure di prevenzione.
Per quanto attiene alla condotta penalmente sanzionata, recependo le critiche relative al deficit di tassatività, si è chiarito che lo scopo dell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui – che rimane il comportamento sanzionato dalla norma – debba consistere nella “realizzazione di un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento”, in luogo del generico “raduno” inizialmente previsto.
È opportunamente scomparso, per ciò che attiene agli autori dell’invasione, il riferimento al “numero di persone superiore a cinquanta” e la norma non punisce più organizzatori e partecipanti (come nella versione iniziale, sebbene con un’attenuante a favore dei secondi), bensì solo chi “organizza o promuove l’invasione”.
Altro aspetto di grande novità attiene alle circostanze tali da poter far scattare, come conseguenza dell’invasione, il “concreto pericolo per la salute pubblica o per l’incolumità pubblica” (come anticipato, è invece scomparso il riferimento all’ordine pubblico).
Se, prima, la norma non era affatto chiara sul punto – limitandosi a chiedere che dall’invasione derivasse “un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, senza indicare quali fossero le circostanze in grado di creare tale pericolo – ora la norma richiede che dall’invasione derivi un “concreto pericolo per la salute pubblica o per l’incolumità pubblica a causa dell’inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi”.
In sostanza, si è aggiunto l’inciso finale al chiaro scopo di delineare, con maggior precisione, quali siano le caratteristiche tipiche dei raduni che la norma vuole effettivamente andare a contrastare: ossia, proprio quei raduni in cui la violazione della normativa in materia di stupefacenti, sicurezza o igiene possa concretamente mettere in pericolo l’incolumità o la salute pubblica.
Immutato è rimasto, invece, il trattamento sanzionatorio, che continua a consentire il ricorso alle intercettazioni.
Senza entrare nel merito delle scelte di politica criminale operate dal legislatore – al quale spetta il compito di individuare le condotte penalmente rilevanti (e le cui scelte potranno, eventualmente, essere sindacate dalla Corte Costituzionale) – la disposizione, nella sua versione finale, è un più che accettabile compromesso che pone rimedio a molte delle criticità evidenziate negli scorsi mesi.
Del tutto opportuno è il venir meno di riferimenti all’ordine pubblico, trattandosi di concetto che identifica le condizioni che assicurano la tranquillità e la sicurezza dei cittadini. Beni giuridici, questi ultimi, che possono essere pregiudicati da condotte diverse e ben più gravi di un raduno musicale, quale, ad esempio, la diffusione di realtà criminali idonee a raggiungere un sufficiente grado di stabilità (e non è un caso che tipici reati contro l’ordine pubblico siano quelli di associazione per delinquere).
Altrettanto opportuni sono i chiarimenti sulla natura “musicale” o di “intrattenimento” del raduno e sulle situazioni tali da concretizzare il “concreto pericolo per la salute pubblica o per l’incolumità pubblica”, essendosi così sgombrato definitivamente il campo dal rischio che attraverso tale norma si potessero andare a sanzionare occupazioni di istituti scolastici o di aziende per fini dimostrativi.
Un reato, forse, di difficile applicazione ma, certamente, non una norma liberticida.