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Dall’Ucraina al Giappone, ecco la difesa globale dell’Italia. Parla Crosetto

Di Flavia Giacobbe e Marco Battaglia

Intervista esclusiva al ministro della Difesa. “Abbiamo il dovere morale di continuare a sostenere il popolo ucraino”, afferma Crosetto che denuncia le fake news del Cremlino: “Quella russa è un’attività di propaganda allusiva e tendenziosa contro il nostro Paese”. Anticipa quindi come sarà strutturata la partnership strategica con il Giappone e conferma l’attenzione del governo in Medio Oriente e nei Balcani nonché gli orientamenti su Spazio, cyber e difesa europea

L’ultima conferma è arrivata poche ore prima di questa intervista. Il segretario della Difesa americano, il generale Lloyd Austin, nel corso di un colloquio telefonico con Palazzo Baracchini (sede del ministero della Difesa italiano) ha lodato l’impegno italiano a favore dell’Ucraina. Parole e riconoscimenti che Guido Crosetto ha raccolto dai numerosi interlocutori internazionali che in pochi mesi di governo ha già incontrato. Il perché si spiega con le considerazioni che il ministro della Difesa ha espresso in questa intervista esclusiva. Non si tratta infatti solo del pieno sostegno all’Ucraina. C’è un’azione strutturata che vede il Paese e il suo governo protagonisti sul piano globale. Dal Giappone ai Balcani passando per Israele e Iraq.

Ministro, il prossimo 24 febbraio sarà un anno esatto da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, scardinando le certezze dell’Europa e creando terribili sofferenze nel popolo ucraino. L’Italia è stata, insieme con gli Usa e con gli alleati, tra i Paesi più vicini a Kiev e alla difesa della sua democrazia. Lo ha fatto anche con l’invio di aiuti militari. Proprio la questione del sostegno militare dell’Italia all’Ucraina è un argomento che sta mettendo il nostro Paese sotto i riflettori, soprattutto stranieri. Come proseguirà l’impegno del nostro Paese?

Di fronte all’aggressione russa all’Ucraina, l’Italia non poteva rimanere ferma e indifferente e così, di comune accordo con la comunità internazionale e i nostri principali partner (Nato e Ue) ha, giustamente, deciso di aiutare il popolo ucraino. La guerra scatenata dalla Russia minaccia i valori di pace e stabilità proprio del continente europeo dalla fine della Seconda guerra mondiale, la coesistenza pacifica delle nazioni, la Carta dell’Onu e i principi di integrità e inviolabilità dei confini territoriali che non possono essere cambiati da aggressioni, atti di forza, in spregio al diritto internazionale. Per tutti questi motivi il nostro Paese sta contribuendo alla resistenza di Kiev con l’invio di aiuti che non sono solo di equipaggiamenti militari, ma anche civili, come i gruppi elettrogeni per tornare a illuminare le città.

Mi faccia dire inoltre una cosa: di fronte alla guerra, non ci dovrebbero essere divisioni tra maggioranza e opposizione. Esiste l’Italia e l’azione dei suoi governi e le risoluzioni del suo Parlamento che, a stragrande maggioranza e nel solco della piena continuità istituzionale, ha deciso di completare l’attuazione del quinto decreto di aiuti stabilito dal precedente governo nel 2022, e che proprio in questi giorni ha ricevuto piena copertura con un una nuova risoluzione parlamentare per l’intero 2023 in vista di un altro, sesto decreto. In sostanza, l’Italia e le sue massime istituzioni democratiche (governo e Parlamento) ribadiscono la volontà di proseguire a supportare l’Ucraina e a rimarginare una ferita di sangue e di barbarie che è stata aperta nel cuore dell’Europa.

Durante la prossima riunione dell’Ukraine defence contact group, a Ramstein, in Germania, decideremo insieme agli Alleati l’invio di ulteriori aiuti che, per la parte italiana, confluiranno in un eventuale sesto decreto. Il presidente Giorgia Meloni è stato sempre molto chiaro nel ribadire che l’Italia è fortemente collocata nell’Alleanza occidentale e in Europa: gli impegni che il nostro Paese ha preso, e mantiene da decenni, saranno rispettati e onorati. Una cosa è certa, abbiamo il dovere morale di continuare a supportare il popolo ucraino per giungere a una pace giusta e veritiera, rispettosa del diritto internazionale e dell’autodeterminazione dei popoli, della loro libertà di decidere di vivere in modo libero e pacifico.

La collaborazione italiana con il Giappone sul caccia di sesta generazione (Gcap) proietta il nostro Paese direttamente nella regione indo-pacifica. Un interesse non solo industriale, ma anche militare. Come si muoverà l’Italia, oltre a Tokyo, in quell’area?

Il Giappone è una nazione amica e un partner di importanza centrale e strategica per gli interessi dell’Italia. Presto verrà avviato anche un meccanismo di consultazione bilaterale Esteri-Difesa tra i nostri due Paesi. L’intesa sottoscritta dai governi di Italia, Regno Unito e Giappone per la realizzazione di un velivolo di sesta generazione (Global combat air programme) può rappresentare un volàno importante per i rapporti commerciali ed economici tra Roma e Tokyo. Il programma avrà importanti ricadute sui settori produttivi, anche in ambito civile, e sui settori di ricerca e sviluppo. L’Italia, però, potrà proseguire questo percorso soltanto se avrà lo stesso peso con una uguale ripartizione degli oneri tra i tre partner citati. Inoltre, è necessario lavorare sull’ipotesi di convergenza del programma Gcap con quello franco-tedesco-spagnolo: l’area Euro-Atlantica e quella Indo-Pacifica sono, da un punto di vista della sicurezza e non solo, inscindibili e strettamente collegate.

I focolai nei Balcani sono motivo di preoccupazione per Roma? E che tipo di impegno il governo ha intenzione di mettere in campo per scongiurare ulteriori escalation?

Negli ultimi vent’anni la presenza dei contingenti italiani nella missione Kfor è stata indispensabile per la stabilità dei Balcani. Con circa ottocento militari, tra Esercito e Carabinieri, siamo il maggior Paese contributore alla missione della quale, da ottobre, e per la tredicesima volta, abbiamo il comando, chiaro segnale di quanto la nostra presenza, e la nostra guida, è ritenuta centrale in quell’area. Vogliamo riprendere un ruolo strategico fondamentale anche per normalizzare l’attuale situazione di tensione diplomatica tra Serbia e Kosovo. Per questo, io e il ministro Antonio Tajani, siamo andati in Serbia e Kosovo lo scorso novembre.

La prima volta di un ministro della Difesa e degli Esteri insieme. Ciò indica l’attenzione che il nostro Paese rivolge a questa zona di Europa, troppo importante per lasciarla sola in un momento di difficoltà. L’obiettivo è far sì che Kosovo e Serbia si siedano a un tavolo e raggiungano un accordo senza che nessuno dei due si senta, alla fine, trattato in modo diverso rispetto all’altro. L’organizzazione della conferenza sui Balcani, che si terrà a Trieste nei prossimi giorni, va proprio in questa direzione: l’Italia vuole promuovere, insieme ai suoi alleati, una serie di iniziative politiche che possano attenuare gli attriti e i dissapori, i momenti di tensione, coinvolgendo Serbia e Kosovo sempre di più verso un cammino di integrazione europea.

Il rischio instabilità nel Mediterraneo è una questione di vivo interesse per l’Italia, essendo la proiezione naturale del nostro Paese. Roma guarda con particolare attenzione alle evoluzioni di Libia e Tunisia. Secondo lei, la soluzione dei problemi del Mediterraneo passa per una collaborazione con i Paesi del Medio Oriente e del Golfo?

La sicurezza del Mediterraneo, per noi di vitale importanza, sta subendo pesanti riflessi dal conflitto in Ucraina che ha inasprito le tensioni già presenti nell’area. Ecco perché sono certo che sia un’area da presidiare e la cui sicurezza è strategica per l’Europa e per tutti i Paesi che si affacciano sul bacino. Ricordo che dal Mediterraneo transitano dorsali vitali per le comunicazioni, rifornimenti energetici e rotte commerciali. Sono fermamente convinto che l’Europa debba investire in maniera efficace in Africa perché è solo favorendo la crescita del Pil pro capite, dell’economia e della cultura dei Paesi africani che si potrà contribuire a garantire la stabilità e la crescita dell’intero continente, contribuendo così a ridurre le tensioni anche nel bacino del Mediterraneo.

La crescita economica dell’Africa, con l’adozione di una politica pragmatica e unitaria da parte della Ue, è la premessa necessaria alla risoluzione di un problema di dimensioni crescenti, quello dell’immigrazione ma anche della penetrazione economica, commerciale e geopolitica di altri Paesi a noi concorrenti e rivali. Purtroppo, l’Europa investe sette volte quello che investe la Cina in Africa e venticinque volte la Russia, ma con risultati estremamente diversi. La Cina ha una presenza significativa, in Africa, la Russia anche, mentre l’Europa no.

Sul versante mediorientale, guardiamo con particolare attenzione al processo di stabilizzazione dell’Iraq, di interesse strategico per la sicurezza dell’intera regione del Golfo. Ricordo che, da maggio 2022, abbiamo il comando della Missione Nato in Iraq e siamo anche tra i principali contributori della missione Onu in Libano. Uno sforzo che continuerà anche in futuro.

Con gli Accordi di Abramo, Israele ha svolto un ruolo di stabilizzazione nei confronti del mondo arabo e ci si attende che possano estendere ulteriormente il loro impatto. Il Paese è un nodo centrale per il futuro della regione mediorientale e un partner di primo piano per il mondo occidentale, con collaborazioni strette industriali su tecnologia e Difesa. In questo ambito, prevede un legame più forte tra Israele e Italia?

Gli accordi di Abramo rappresentano un importante passo avanti per la pace e stabilità del Medio Oriente. I rapporti tra Italia e Israele hanno un’importanza di assoluto rilievo. Ancor più nel mutato scenario geopolitico di riferimento. Detto ciò, le relazioni bilaterali tra Italia e Israele assumono un rilievo determinante per implementare la sicurezza e le attività di cooperazione in tutti i settori, compresa la Difesa. Anche la collaborazione industriale tra Italia e Israele, già oggi molto intensa, è essenziale. Ciò anche grazie ai memorandum firmati tra i due Paesi nell’ambito di accordi G2G.

Inoltre, l’Italia in Medio Oriente è presente con i suoi soldati in Libano sulla Blue line e contribuisce anche così alla stabilità e alla sicurezza della regione. In questa ottica, l’accordo sulla definizione dei confini marittimi tra Israele e Libano, dopo anni di intensi negoziati, rappresenta un risultato storico. Una svolta significativa nei rapporti tra i due Paesi che, in quanto tale, potrà rappresentare non solo un fattore di stabilità della regione, ma anche di crescita economica con lo sfruttamento delle risorse energetiche nelle acque del Mediterraneo orientale.

Lei è intervenuto per sedare il caso che si stava creando attorno alle fake news lanciate dalla diplomazia russa ai danni di Roma. Episodi di guerra ibrida e disinformazione condotte da Russia e Cina sono sempre più frequenti. Quali contromisure ha intenzione di adottare il governo Meloni?

Quella russa è un’attività di propaganda allusiva e tendenziosa contro il nostro Paese. Fake news che mirano a minare il consenso nazionale della nostra opinione pubblica a sostegno dell’Ucraina. Attività non nuova e che rappresenta una strategia mirata della Russia di fronte alla quale l’Italia e i suoi Alleati continuano a sviluppare strumenti per contrastare in modo efficace e capillare la disinformazione, diventata strumento della peggiore propaganda denigratoria. Il miglior antidoto è l’approfondimento delle notizie. Un compito che i media devono svolgere sempre, ancor più in questo particolare momento storico, per non correre il rischio di alimentare, talvolta, la bieca propaganda.

Come quella dell’Ambasciata russa che ha scritto che riforniamo di mine antiuomo l’Ucraina. Una notizia falsa e molto grave. L’Italia da oltre venticinque anni le ha messe al bando e aderisce alle convenzioni internazionali che le vietano in modo rigoroso e scrupoloso. Contro questa disinformazione, che viene da organi ufficiali russi (Ambasciata russa in Italia, ministero degli Esteri) diciamo con forza “basta!”. Non si inventano notizie denigratorie del buon nome dell’Italia per fini di propaganda militare.

Più in generale, non si affrontano momenti drammatici come quello che stiamo vivendo raccontando scenari che non esistono o dando seguito a chi ha tutto l’interesse di condizionare l’opinione pubblica e il modo di pensare della popolazione. La guerra cognitiva, cognitive warfare, utilizza campagne di disinformazione con la diffusione di notizie false supportate da sistemi di intelligenza artificiale. In democrazia è fondamentale evitare che ciò accada. Per rispondere a queste minacce, la Difesa ha da poco emanato un documento che definisce l’approccio alle operazioni in tutti i domini di riferimento (terra, mare, aria, cyber, spazio) oltre che nell’ambiente informativo e della sfera cognitiva.

I nuovi domini della Difesa mai come in questo momento storico sembrano indispensabili per condurre operazioni militari. Si tratta dello Spazio e del Cyber. Che passi in avanti deve fare ancora l’Italia della Difesa in questi ambienti?

La guerra russo-ucraina ha imposto una maggiore attenzione anche sulla sicurezza e sull’accesso a spazio e cyber-spazio. Senza norme che regolamentano questi domini si rischia l’ingerenza o l’attività di attori non statuali che possono operare approfittando dei vuoti normativi. Una lacuna che deve essere colmata al più presto. A ciò va aggiunta anche la difficoltà di definire quando questi interventi siano incidentali o, invece, vengano sovvenzionati da enti governativi. Per quanto riguarda l’aerospazio nei prossimi cinque anni investiremo sette miliardi. Una cifra molto considerevole per il bilancio dello Stato. Il sistema spaziale italiano è una componente dell’autonomia strategica nazionale ed europea e, per questo, va costantemente coltivato e rilanciato per mantenere il nostro Paese credibile e all’avanguardia. Lo spazio è un campo in crescente competizione in cui gli Stati incontrano diverse difficoltà quando agiscono in autonomia o facendo leva solo sulle proprie forze e risorse. Quindi, è necessario assumere un ruolo efficace nella strategia del settore assicurando continuità ai programmi di interesse nazionale e di cooperazione, europei e internazionali. Qui, a maggior ragione, serve davvero una visione globale, europea e planetaria.

Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen si sono positivamente confrontate sul Pnrr. Un nuovo passo in avanti che vede una maggiore intesa con Bruxelles. Alla luce di ciò, l’Italia potrebbe rilanciare il suo ruolo all’interno della Difesa comune? È una aspirazione dell’esecutivo Meloni? A che punto siamo secondo lei con il progetto di Difesa europea?

Oggi, nell’attuale scenario geopolitico, attori autoritari sfidano gli interessi dei nostri Paesi usando molteplici strumenti: politici, economici, tecnologici e militari. La dichiarazione comune sulla cooperazione tra Unione europea e Nato, sottoscritta qualche giorno fa a Bruxelles da Charles Michel, Ursula von der Leyen e Jens Stoltenberg, sottolinea che la Nato è il fondamento della difesa collettiva per suoi membri e per la sicurezza Euro-Atlantica, e che la Nato, allo stesso tempo, riconosce il valore di una Difesa europea più forte e più efficace che contribuisca alla sicurezza globale e transatlantica, in maniera complementare e inter-operativa con l’Alleanza Atlantica.

Sarà necessario, dunque, evitare qualsiasi inutile duplicazione, nel quadro delle nostre storiche alleanze. Al contempo, lavoriamo per rafforzare le sinergie per costruire un’Europa più competitiva nel settore dell’industria della Difesa, incentivando, ad esempio, programmi di cooperazione. Siamo convinti che la Difesa europea sia un pilastro nella struttura della sicurezza occidentale ma, prima di tutto, è necessaria una politica estera condivisa e intenti comuni all’intera comunità politica della Ue.



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