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Basta prodotti dallo Xinjiang. L’appello a Roma dell’uiguro Turkel

In un intervento al Senato, il presidente della Commissione statunitense per la libertà religiosa nel mondo ha ammesso che sì, sarà difficile per imprese e consumatori prescindere dai prodotti che arrivano dalla regione cinese ma è la cosa giusta da fare dal punto di vista etico e umano. L’avvertimento sulla sorveglianza tecnologica di Pechino, anche all’estero…

 

Nury Turkel è nato in un campo di rieducazione durante la Rivoluzione culturale e lì ha trascorso i primi mesi della sua vita insieme alla madre. È arrivato negli Stati Uniti nel 1995 come studente e nel 1998 ha ricevuto lo status di asilo. Oggi è un noto avvocato, che porta la causa uiguri a livello internazionale e dal 2020 è commissario della Uscirf, Commissione statunitense per la libertà religiosa nel mondo.

Ha un dottorato in Diritto all’Università di Washington ed è esperto in ricerca, applicazione della legge federale, difesa legislativa e immigrazione. La sua battaglia è la difesa dei diritti umani ed è per questo che nel 2003 fondò la Giunta del Progetto di Diritti Umani per gli Uiguri. È stato anche presidente dell’Associazione Americana di Uiguri, che conta tra i suoi successi la liberazione della leader Rebiya Kadeer a marzo del 2005.

Mercoledì pomeriggio Turkel, nella veste di Commissario della Commissione statunitense per la libertà religiosa nel mondo, ha parlato in un’audizione informale alla Commissione Affari esteri e difesa del Senato. Durante l’intervento ha spiegato cosa fa la commissione: “Copriamo le violazioni delle condizioni della libertà religiosa internazionale e formuliamo raccomandazioni politiche al governo degli Stati Uniti, in particolare al presidente, al segretario di Stato e al Congresso ogni anno, come richiesto dal mandato statutario, e pubblichiamo rapporti che sono simili al rapporto del Dipartimento di Stato”.

Turkel la vita dentro il campo di rieducazione cinese l’ha patita sulla propria pelle. Durante l’intervento ha detto di sentirsi un sopravvissuto di quel sistema. “Non posso dire di aver visto di nuovo questo film, ma lo stiamo vedendo in un modo molto più sofisticato”.

Ribadisce che le condizioni di violazione dei diritti umani in Cina non sono migliorate, anzi, “si è trasformata in una condizione di genocidio”. Un genocidio davvero unico, sotto molti aspetti, che sfrutta diversi elementi e ha una sofisticata forma di sorveglianza tecnologica. Con la complicità di molte aziende che operano a livello internazionale.

“L’entità del genocidio in corso, gli arresti di massa, le punizioni collettive sono qualcosa che il mondo non ha visto – ha sottolineato Turkel -. Questa è la più grande incarcerazione del gruppo etnoreligioso dal Terzo Reich”. Mentre la società americana discute se le donne hanno il diritto di abortire o meno, in Cina una donna è costretta a sottoporsi alla sterilizzazione perché è una politica statale.

Il commissario invita a condannare in maniera netta la schiavitù moderna: “Quando si tratta di repressione transnazionale, è alquanto sconcertante che i Paesi non valutino ancora veramente la gravità della repressione transnazionale […] Un paese comunista che cerca di limitare la nostra libertà di esprimere dovrebbe disturbare. Se un professore universitario, un attivista, anche un funzionario del governo ha paura di quello che Pechino pensa quando parla o dici qualcosa nel tuo Paese che dovrebbe davvero generare una grande preoccupazione”.

L’Italia può contribuire a fermare queste atrocità e ha un ruolo importante nella trasformazione della catena di approvvigionamento globale dei prodotti dal lavoro degli schiavi. Essendo uno dei Paesi chiave nel settore della moda, l’Italia importa ancora prodotti di cotone provenienti dallo Xinjiang. “Ma questo deve finire – incalza Turkel -. Deve finire amministrativamente o legislativamente. Abbiamo già preparato il terreno come Paese, come partner dell’Italia negli Stati Uniti”.

Il commissario non nega che sarà una scelta difficile per le imprese, e anche per i consumatori che si vedranno costretti a pagare di più: “Ma è la cosa giusta da fare. La domanda è abbastanza semplice. Questo è qualcosa che tu, io, altri responsabili politici e consumatori dobbiamo chiederci: sei a favore della schiavitù o contro la schiavitù? È abbastanza semplice. Quindi, se sei contrario alla schiavitù, questo è qualcosa che devi fare per renderlo impossibile per le imprese, renderlo illegale per le imprese, rendere non etico per le imprese continuare queste pratiche commerciali”.

Qui il video dell’audizione completa al Senato

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