L’intervento di Mario Caligiuri alla First International Conference on Medical Intelligence all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano, organizzata dal presidente Socint Lombardia, Marco Lombardi
Leggiamo sui giornali di oggi che “La Corea del Nord ha imposto un lockdown di cinque giorni nella capitale Pyongyang per via di una malattia respiratoria non specificata”. I giornalisti si chiedono: “È solo Covid? O c’è qualcos’altro?”. Questo conferma come la conferenza di oggi promossa da Marco Lombardi all’Università “Cattolica” di Milano sia davvero opportuna, coinvolgendo autorevoli istituzioni nazionali e internazionali e anche la Società Italiana di intelligence, che ha sedi in tutte le regioni italiane presiedute da un professore universitario.
L’intelligence, intesa come apparato dello Stato, non può non occuparsi di queste dinamiche, così come delle vere sfide che sono già in atto: l’intelligenza artificiale e il disagio sociale legato alle crescenti disuguaglianze che da qui a breve, secondo me, rappresenterà l’emergenza delle emergenze.
L’Intelligence si è sempre occupata di pandemia, che non è affatto un cigno nero, un evento inatteso e improbabile. Nel 2008 il National Intelligence Council statunitense nello studio Global Trends 2025: A Transformed World, evidenziava che il rischio di una pandemia era considerato più che probabile.
Prima ancora, nel novembre del 2005 il presidente degli Stati Uniti George W. Bush al National Institute of Health Bethesda nel Maryland, facendo tesoro dell’esperienza dell’aviaria, ricordava “Medici e scienziati non possono dirci dove e quando colpirà la prossima pandemia o quanto grave sarà, ma sono per lo più d’accordo: prima o poi siamo destinati ad affrontare un’altra pandemia […]. Una pandemia influenzale avrebbe conseguenze a livello globale”. Allo scopo, Bush proponeva al Congresso un investimento di 7 miliardi e mezzo di dollari per prevenire questo possibile pericolo.
A livello sociale, nel 2012 il divulgatore scientifico statunitense David Quammen, pubblicava “Spillover”, in cui spiegava il salto di specie dei virus dalla natura e dagli animali all’uomo. Nel 2015 Bill Gates intervenendo a Vancouver disse: “Se qualcosa ucciderà 10 milioni di persone nei prossimi decenni sarà più probabile che sia un virus altamente contagioso piuttosto che una guerra”.
Nel 2017 Hans Rosling, medico e statistico svedese aveva previsto nel libro “Factfulness”, che tra “i cinque rischi globali di cui dovremmo preoccuparci” il primo era certamente quello di una pandemia globale, ricordando che “i veri esperti di malattie infettive concordano che un nuovo resistente tipo di influenza è ancora la minaccia più sinistra per la salute globale” e concludendo che “vale la pena fare qualunque sforzo per proteggerci in ogni modo da un virus che è altamente trasmissibile e che ignora ogni genere di difesa”.
Nel maggio 2020 Lica Zinzula, del Max-Planck Institute of Biochemistry di Monaco di Baviera ha pubblicato per la Socint Press “Il fattore X. L’origine della Covid-19 tra pandemia informativa e ruolo dell’Intelligence“ in cui ha ipotizzato “la malattia X” cioè un virus più contagioso e virulento di questo che potrebbe presto emergere, ribadendo il ruolo essenziale dell’intelligence per ricercare informazioni e soprattutto diradare le ombre della disinformazione e della manipolazione, economica e politica.
Nella primavera dal 2020, mentre la Comunità Europea allora in gran parte non coinvolta si girava dall’altra parte rispetto alle difficoltà italiane, negli aiuti cinesi e russi all’Italia quanto c’è stato di solidarietà e quanto di propaganda? Si tratta, evidentemente, di una domanda retorica.
Sul piano politico, abbiamo constatato una circostanza già emersa nella crisi economica del 2008. E cioè che le classi dirigenti hanno gestito la crisi pandemica più un’opportunità per loro stessi che come un problema della collettività.
Importante che la proposta di un progetto nazionale sulla Medical Intelligence, provenga dalle università e in particolare da un’università, come quella “Cattolica del sacro Cuore”, che si è storicamente caratterizzata per l’attenzione ai bisogni della persona, ampliando in questo caso l’orizzonte culturale di una definizione scientifica dell’intelligence, per sottrarla a interpretazioni ideologiche e superficiali.
Il progetto nazionale sulla Medical intelligence è una necessità a livello nazionale, sebbene un tema del genere abbia un senso attraverso robuste collaborazioni internazionali, che facciano perno sull’Organizzazione Mondiale della Sanità e anche su organizzazioni meno esposte ai condizionamenti della potente lobby sanitaria globale, che orienta anche parte della ricerca universitaria del settore. Non a caso il convengo di oggi ha una impostazione internazionale, coinvolgendo anche istituzioni benemerite come i volontari del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta.
A livello sanitario, l’assistenza per tutti è un grande risultato sociale nell’Italia degli anni Settanta, che contribuisce affinché il nostro sia uno dei popoli più longevi della terra. Ci sono però nel settore situazioni assai delicate, essendo la materia sanitaria oggetto di giganteschi interessi economici, e quindi anche in alcuni specifici casi criminali, ed essendo caratterizzata dalle competenze regionali.
Com’è noto le regioni in Italia funzionano molto diversamente e secondo alcuni più che una soluzione rappresentano un serissimo problema istituzionale, del tutto in ombra. Nel caso del Covid, anche uno dei sistemi sanitari più celebrati come quello lombardo è andato pesantemente in difficoltà.
Appunto per questo, il convegno di oggi pone la Medical intelligence come una priorità nazionale, e secondo me, più che ulteriori strutture, potrebbe essere utile nell’immediato promuovere approfondimenti universitari e necessarie e puntuali specializzazioni all’interno delle organizzazioni esistenti, sia nel campo sanitario che in quello militare, delle forze di polizia (penso ai Carabinieri) e dell’intelligence.
Nelle agenzie di intelligence, potrebbe essere opportuno, per esempio, il potenziamento del Dis e dell’Aise con un nucleo di specialisti che si occupino di questi aspetti, attraverso diverse procedure di reclutamento.
Infatti, a problemi nuovi non si può rispondere con metodi vecchi.