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Nome in codice Maoz. Chi è il nuovo capo dei diplomatici israeliani

Di Gabriele Carrer ed Emanuele Rossi

Il ministro Eli Cohen ha scelto Ronen Levy come direttore generale. Ex funzionario di Shin Bet e Consiglio di sicurezza nazionale, una vita nell’ombra, è uno degli architetti degli Accordi di Abramo. Il suo compito principale sarà espanderli

Ronen Levy, nome in codice Maoz, cioè roccaforte. Il suo nome e il suo volto sono stati diffusi soltanto poche ore fa, quando è stato nominato direttore generale del ministero degli Esteri israeliano, dopo una trentennale carriera nello Shin Bet, cioè l’agenzia d’intelligence interna, e al Consiglio di sicurezza nazionale. Prende il posto di Alon Ushpiz, ex ambasciatore in India e direttore generale per gli Affari politici e strategici al ministero, da tre anni a capo dell’intera struttura diplomatica. “Dedicherò le prossime settimane a un passaggio di consegne completo e ordinato e alla conclusione di una serie di questioni in agenda”, ha scritto in una lettera al personale della ministero oggi guidato da Eli Cohen, già ministro dell’Intelligence negli anni passati.

LA CARRIERA

Dopo aver lavorato per oltre due decenni nello Shin Bet occupandosi di operazioni sotto copertura a Gaza e diventato uno dei massimi esperti di Hamas, Levy (48 anni) nel 2018 è entrato al Consiglio per la sicurezza nazionale allora diretto da Meir Ben-Shabbat. Dal 2018 al 2020 è stato inviato speciale del primo ministro Benjamin Netanyahu nel mondo arabo e in Africa, lavorando nell’ombra e dietro le quinte per tessere la tela con diversi Stati, come il Ciad (relazioni diplomatiche ristabilite nel 2019), il Sudan e il Marocco (due dei Paesi firmatari degli Accordi di Abramo) e l’Egitto (diventando il punto di contatto tra Netanyahu e l’intelligence del Cairo sui dossier riguardanti Gaza e Hamas).

POLEMICHE IN VISTA?

Secondo il Times of Israel la nomina di Levy è destinata ad alimentare “sicuramente” critiche al ministero e in altre agenzie governative. Nel periodo che ha preceduto gli Accordi di Abramo, alti funzionari del Mossad sotto anonimato avevano dichiarato a Channel 13 di essere stufi delle iniziative indipendenti del Consiglio per la sicurezza nazionale nel mondo arabo. “Al Mossad non piacciono gli sforzi di Meir Ben-Shabbat e Maoz di mantenere i legami con i Paesi della regione aggirando il Mossad”, aveva detto un funzionario nel 2019. Per quasi un anno i funzionari del Mossad non hanno partecipato alle riunioni del Consiglio per la sicurezza nazionale dirette da Ben-Shabbat e diversi media hanno raccontato di tensioni tra Ben-Shabbat e Levy da una parte e Yossi Cohen, allora capo del Mossad, dall’altra.

IL FUTURO DEGLI ACCORDI DI ABRAMO

Non mancano però i diplomatici ottimisti, secondo i quali la nomina di Levy potrebbe essere un segnale che Cohen voglia rendere il ministero degli Esteri il fulcro dell’allargamento degli Accordi di Abramo. L’ufficio del primo ministro (e dunque il Consiglio per la sicurezza nazionale) e le agenzie d’intelligence saranno d’accordo? L’allargamento degli accordi è in parte considerata una priorità di interesse nazionale per Israele, perché significa un rafforzamento della posizione per Gerusalemme nei confronti del mondo arabo anche in funzione del ruolo di perno che avrebbe nella regione per gli occhi (e per le policy) statunitensi. Per gli Stati Uniti infatti la possibilità di innescare un dialogo più ampio possibile tra Israele e la gran parte degli attori arabi regionali è un fattore prioritario per l’ordine regionale (che passa anche da un comune interesse: il contenimento dell’Iran).

ARABIA SAUDITA E WASHINGTON

Washington ha alleggerito notevolmente il peso politico-militare giocato in Medio Oriente, ma per continuare su questo lineamento strategico – pensato anche in funzione del pivot asiatico – ha bisogno che la regione segua dinamiche ordinate, o quanto meno ha l’esigenza di poterle affidare a un fronte ampio e affidabile. In quest’ottica, la normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti, prodotto principale degli Accordi, è un elemento centrale anche perché potrebbe facilitare il raggiungimento dell’obiettivo determinante: l’avvio di rapporti effettivi e formali tra Israele e Arabia Saudita. Riad per ora non può far parte dell’intesa abramitica (per il peso ideologico legato al ruolo di custode dei luoghi sacri dell’Islam che grava sul trono di Re Salman), e per questo Washington spinge sul Negev Forum, un formato più leggero di colloquio diplomatico.

STRATEGIA, DIPLOMAZIA, INTELLIGENCE

Da lì si potrebbero aprire opportunità diverse, anche focalizzate sull’inizio di cooperazione formali attorno ad alcuni dei grandi temi regionali che il Forum ha messo sul tavolo. Contemporaneamente, la scelta del nuovo governo israeliano di inserire figure come Cohen e Levy all’apice del ministero degli Esteri dimostra che Israele percepisce perfettamente il valore strategico dell’ampliamento del dialogo regionale. I due ex funzionari dell’intelligence alla guida della diplomazia dello stato ebraico rappresentano il valore chiaro che il Paese dà alle relazioni internazionali. La crepa con il Mossad, che ha il compito di gestire l’intelligence israeliana all’estero, è altrettanto un evidente segnale di come tra gli apparati di Gerusalemme ci siano posizioni critiche non tanto nella direzione strategica, quanto nella gestione tattica della stessa. Aggiustamenti che potrebbero essere comunque trovati.



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