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La nuova partnership strategica Roma-Tokyo secondo l’ex ambasciatore Umemoto

“Credo che il mio mandato in Italia sia stato nel mezzo di questo processo evolutivo”, spiega il diplomatico oggi alla guida della Japan Foundation. Il G7 a Hiroshima? “È importante assicurarsi che i leader europei comprendano che ciò che accade qui in Asia orientale o nella regione del Pacifico ha un impatto diretto a livello globale”

Il rapporto tra Italia e Giappone “si è evoluto in una partnership strategica e credo che il mio mandato di ambasciatore in Italia sia stato nel mezzo di questo processo evolutivo”, spiega Kazuyoshi Umemoto, ambasciatore giapponese in Italia dal 2014 al 2017, oggi presidente della Japan Foundation, a Formiche.net. Un passo avanti ufficializzato due settimane fa in occasione della visita a Roma di Fumio Kishida, primo ministro giapponese, che ha incontrato Giorgia Meloni, presidente del Consiglio.

Che cosa ha portato a questa svolta?

Giappone e Italia sono entrambi membri del G7. Dal punto di vista giapponese, l’Italia ha forti legami con il mondo mediterraneo e una prospettiva unica rispetto agli altri Paesi europei. Dal punto di vista italiano, il Giappone è l’unico Paese asiatico del G7. Inoltre, hanno caratteristiche geografiche simili.

Questo passo avanti è la conferma dell’interconnessione tra l’Euro-Atlantico e l’Indo-Pacifico?

Tradizionalmente, il Giappone ha mantenuto una relazione strategica con il Regno Unito e la Francia. Da quando il Regno Unito ha lasciato l’Unione europea, il Giappone si trova ora ad affrontare un’Europa diversa e vuole che l’Europa sia più consapevole della sicurezza dall’Indo-Pacifico. La guerra in Ucraina e molti altri eventi hanno reso gli europei più consapevoli della situazione. Il riconoscimento di tale legame ha permesso ai leader di Italia e Giappone di elevare le relazioni a un nuovo livello.

L’ultima tappa del tour diplomatico del primo ministro Fumio Kishida è stata a Washington. In un discorso alla Johns Hopkins University School of Advanced International Studies, ha auspicato il ritorno degli Stati Uniti nel Partenariato Trans-Pacifico. Lei è stato caponegoziatore del governo giapponese su questo dossier. È ottimista?

Nel breve termine, il ritorno degli Stati Uniti nel Partenariato Trans-Pacifico non è realistico a causa della situazione politica interna degli Stati Uniti. E sono certo che il premier Kishida ne sia ben consapevole. Ma il Partenariato Trans-Pacifico ha una prospettiva a lungo termine, in quanto mira a stabilire e rafforzare il quadro degli scambi commerciali basati su un sistema di regole nell’Asia-Pacifico e tra Paesi like-minded.

Stiamo assistendo a un aumento degli accordi “minilaterali” o “plurilaterali”. Il sistema multilaterale, a cui lei ha partecipato in prima persona da vice rappresentante permanente alle Nazioni Unite, è in crisi?

Il sistema multilaterale, penso a Nazioni Unite e Organizzazione mondiale del commercio, è universale. Per questo è indispensabile. Ma allo stesso tempo, il processo decisionale basato sul consenso rende molto difficile arrivare a conclusioni. Il commercio e l’economia sono settori in cui le cose cambiano rapidamente. Quindi, è utile avere un numero minore di membri ma prendere decisioni più rapidamente. In particolare, nel caso del Partenariato Trans-Pacifico, le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio sono la base, ma contiene molte altre norme sui diritti di proprietà intellettuale, sulle imprese statali, sulle regole degli investimenti e così via. Quindi i Paesi like-minded hanno regole di livello superiore tra di loro per mostrare alla comunità internazionale una sorta di modello. In questo senso, il Giappone ritiene molto importante il rientro degli Stati Uniti nel lungo periodo.

Anche il G20 si sta indebolendo?

Il G20 è molto importante perché vi aderiscono i Paesi più importanti al mondo ed è un forum per il dialogo. In confronto, l’Organizzazione mondiale del commercio o il Partenariato Trans-Pacifico sono accordi giuridicamente vincolanti che il G20 non può sostituire. Inoltre, è più eterogeneo del G7 e dunque presente alcune sfide, dato che dentro ci sono Cina e Russia.

L’ipotesi dell’allargamento del G7 può essere una soluzione?

Il valore del G7 è che è più ristretto, basato su valori fondamentali condivisi. Pensiamo ancora che il G7 debba guidare la comunità internazionale. Naturalmente, è utile che i Paesi del G7 dialoghino con Paesi like-minded. Ma l’ampliamento diluirebbe la qualità e il contenuto della discussione. L’elemento più importante del G7 è che i Paesi membri possono discutere di tutto senza preoccupazioni.

Che cosa si aspetta dalla presidenza giapponese del G7 e dal summit di Hiroshima?

È importante per il Giappone assicurarsi che i leader europei comprendano che ciò che accade qui in Asia orientale o nella regione del Pacifico ha un impatto diretto sull’Europa e a livello globale.

Questo è un elemento che traspare dalla nuova strategia di sicurezza giapponese. Come la definirebbe? Una rivoluzione o un’evoluzione?

Si basa sulla consapevolezza dell’attuale situazione di sicurezza dopo la guerra in Ucraina. Ma è anche l’estensione di ciò che abbiamo fatto finora. Quindi, è una sorta di grande passo avanti, un’evoluzione, ma non un allontanamento fondamentale dalla politica di sicurezza e difesa del Giappone. Finora la nostra politica è stata quella di dipendere dagli Stati Uniti per le operazioni di controffensiva per la difesa del Giappone. Ma ora ci rendiamo conto che è meglio per noi avere determinate capacità controffensive.



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