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Perché il Pd (non) è più un partito plurale. Scrive Merlo

Il nuovo Pd, come lo definiscono i capi e i dirigenti delle infinite correnti di quel partito, finalmente punta a diventare il partito della sinistra italiana. O meglio, il partito che si candida ad essere l’interprete esclusivo del tradizionale e storico filone della sinistra italiana. Il commento di Giorgio Merlo

Come si suol dire in gergo, non tutto vien per nuocere. Il “nuovo Pd”, come lo definiscono i capi e i dirigenti delle infinite correnti di quel partito, finalmente punta a diventare il partito della sinistra italiana. O meglio, il partito che si candida ad essere l’interprete esclusivo del tradizionale e storico filone della sinistra italiana, ovvero la filiera del Pci/Pds/Ds. Certo, esiste la concorrenza della “sinistra per caso” , interpretata egregiamente dalla versione populista e trasformista dei 5 Stelle.

Una minaccia insidiosa perché non avendo una cultura politica definita alle spalle e un progetto politico altrettanto chario, possono cavalcare qualunque spinta della società per marcare la propria natura “progressista” e di “sinistra”. Per cui possono essere contemporaneamente
ecologisti, poi pacifisti, poi assistenzialisti, poi pauperisti e poi di nuovo il contrario di tutto a seconda di ciò che si decide di cavalcare di volta in volta. Una minaccia, comunque sia, indubbiamente pericolosa ai fini della rappresentanza di alcuni segmenti della società, come
hanno confermato le elezioni dello scorso 25 settembre e come confermano quotidianamente i vari sondaggi sul peso dei rispettivi partiti

Ma, per fermarsi alla storica sinistra italiana, è abbastanza evidente che si è chiusa definitivamente una fase politica nella esperienza concreta del Partito democratico. Riflessione che, del resto, viene ripetuta con insistenza da parte della stessa maggioranza dei dirigenti dell’attuale Pd in questo periodo congressuale. Salvo, comprensibilmente, alcuni storici capi corrente che hanno giocato tutte le parti in commedia in questi anni e che sono legati solo ed esclusivamente dal collante del potere. Con la presenza infinita nelle aule parlamentari e nel governo.

L’elemento politico che, però, merita di essere richiamato ed approfondito è che il Partito democratico chiude definitivamente, al di là della propaganda e delle dichiarazioni burocratiche e di rito, la stagione del “partito plurale” che era stato disegnato e costruito con il “Manifesto dei valori” stilato nel 2007 con il contributo fondamentale e determinante di autorevoli personalità della politica e della cultura del nostro paese come Alfredo Reichlin e Pietro Scoppola.

È di tutta evidenza che l’obiettivo politico, condiviso questo sì da tutto il partito, di ricostruire e ridefinire l’identità, il ruolo, la funzione e la “mission” della sinistra italiana nel nostro paese, fa del Pd un partito – o il partito – della sinistra italiana al di là e al di fuori di qualsiasi altra finalità politica. E, questo, è un elemento importante perché contribuisce a ridare chiarezza alla stessa politica italiana archiviando definitamente ed irreversibilmente quella “pluralità” che aveva caratterizzato la concreta esperienza del Pd dalla segreteria di Veltroni in poi.

E la ricostruzione della sinistra, seguendo la filiera della cultura ex e post comunista del nostro paese, può dare un contributo
decisivo anche per la stessa correttezza e trasparenza della dialettica democratica contemporanea. Certo, poi ci sono – del tutto legittimamente – delle sfumature all’interno del campo della sinistra italiana. Da una interpretazione di “partito radicale di massa” interpretato con coerenza e determinazione dalla candidata alla segreteria del partito Elly Schlein, per dirla con Luca Ricolfi, ad una interpretazione altrettanto coerente e trasparente della concezione di partito post comunista interpretata da Bonaccini.

Comunque sia, e al di là delle mille “sfumature di rosso” presenti all’interno del pianeta della sinistra italiana, è evidente a tutti – tranne a chi
continua a beneficiare di ruoli di potere e di incarichi prestigiosi – che altre culture, come ad esempio quella popolare e cattolico sociale, sono del tutto fuori luogo e fuori tempo in quel campo politico. E la conferma arriva proprio dalla volontà di protagonismo che sale dalla base della tradizione e della cultura del cattolicesimo popolare e sociale del nostro paese in questa fase storica.

Un protagonismo che non può più essere inglobato all’intero di partiti o movimenti politici che hanno un’altra ragione sociale, che perseguono un altro progetto politico e che, soprattutto, sono espressione di un’altra cultura politica. Per questi semplici motivi, il ritorno della sinistra italiana- sempreché si avveri nella coerenza del suo progetto politico e di governo – può finalmente innescare un meccanismo virtuoso anche per altre culture politiche che, come ovvio, sono “radicalmente altro” rispetto alla tradizione del post comunismo nella storia politica italiana.



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