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Il pericolo anarchico tra vecchie utopie e nuove crisi. Il punto di Caligiuri

“Lo Stato non scende a patti con chi minaccia” dice giustamente Palazzo Chigi. È, infatti, compito delle istituzioni reagire, tutelare e ancor prima capire. Vista la ramificazione della protesta sul suolo nazionale ed estero, è difficile prevedere cosa succederà nei prossimi giorni. Oltre all’indispensabile prevenzione e gestione in chiave di ordine pubblico, occorrono soprattutto iniziative politiche su più livelli. L’analisi di Mario Caligiuri, presidente Socint, Società italiana di intelligence

“La locomotiva”, canzone simbolo di Francesco Guccini, ha appena superato il mezzo secolo e faceva riferimento a una vicenda di ottant’anni prima. Il Novecento si apre con il regicidio di Umberto I da parte dell’anarchico Gaetano Bresci, che riesce nell’impresa fallita a Giovanni Passannante e Pietro Acciarito. lima che, in modo leggero e profondo, Guido Morselli ha descritto nel romanzo “Divertimento 1889”.

La pista anarchica venne per prima imboccata nel 1969 nella strage di Piazza Fontana, che aprì la devastante stagione della strategia della tensione, dando l’avvio alla lotta armata di sinistra. La morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli e a seguire quella del commissario Luigi Calabresi ne furono la diretta conseguenza.

Fabrizio De André nel 1997 in un concerto improvvisa qualche strofa de “La canzone dei carbonari” di Armando Trovajoli, scritta per il film “Nell’anno del Signore” di Luigi Magni: “La bella che guarda il mare ha un nome che fa paura: libertà libertà libertà”.

Nella inconsapevolezza generale, oggi l’anarchia sembra qualcosa di remoto, relegata a quelle utopie dove si pensava che le persone si sarebbero potute governare da sole, senza gerarchie di potere e distinzioni sociali.

Eppure ogni anno nella Relazione che l’intelligence nazionale attraverso il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza deposita al Parlamento c’è, puntualmente, il capitolo sull’eversione, in cui si evidenzia che la fiammella anarchicain Italia non si è mai spenta, superando la scomparsa delle lucciole, cioè l’industrializzazione selvaggia che nella visione di Pier Paolo Pasolini aveva modificato in maniera irreversibile la società.

Idea che ha poi resistito alla trasformazione furiosa di internet, nella quale anzi ha trovato nuovi elementi di vitalità, e alla globalizzazione economica, nelle cui spaventose disuguaglianze ha rinvenuto nuove motivazioni e collegamenti.

Nella Relazione del DIS dopo la riforma del 2007, il primo capitolo riguarda appunto la “Eversione interna ed estremismi”, mentre nell’ultima Relazione del 2021 (tra qualche settimana sarà depositata quella del 2022) c’è anche una Tavola in cui vengono riepilogate le “Principali “azioni dirette” di presunta matrice anarchica in Italia”.

Si tratta di 31 attentati, condotti durante l’anno principalmente nel Lazio e nella Lombardia, regioni in cui si concentrano rispettivamente il potere politico e quello economico, mentre il Sud è indenne. La gran parte hanno riguardato attentati a obiettivi tecnologici e della comunicazione e uno solo a una sede di partito. L’intelligence serve soprattutto per cogliere i segnali deboli, perché quelli forti li vedono tutti e spesso portano da un’altra parte. Appunto per questo vanno segnalati l’assenza di iniziative nel Mezzogiorno e l’individuazione residuale degli obiettivi politici.

Nel documento dei nostri Servizi si legge della creazione di un sito anarchico “per seguire in chiave libertaria l’evoluzione della pandemia”, si fa riferimento al “contributo teorico di esponenti di spicco dell’anarchismo che, dal carcere, […] hanno tra l’altro richiamato più volte l’attenzione dei militanti sulla pratica della violenza insurrezionale”, così come alla «solidarietà rivoluzionaria ai compagni prigionieri» in Italia e nel mondo. Del resto, il tema del sostegno agli anarchici detenuti si è ulteriormente confermato come il principale collante ideologico tra militanti, anche di diversi Paesi”. E infine: “I collegamenti internazionali dell’anarco-insurrezionalismo hanno continuato a trovare, soprattutto sul web, luogo privilegiato di approfondimento tematico e operativo, nonché di condivisione di campagne di lotta, che, a loro volta, hanno dato poi spunto ad attivazioni pure in altri Paesi europei, specie in Francia, Spagna e Grecia, e dell’America latina”.

Sostanzialmente vengono inquadrate, con elevata precisione, le attuali vicende collegate alla detenzione di Alfredo Cospito: gli attentati ai nostri diplomatici ad Atene, Barcellona e Berlino, i proiettili indirizzati al direttore del “Tirreno” Luciano Tancredi e al procuratore generale Francesco Saluzzo, le molotov scagliate contro un commissariato di polizia, le violenze di Torino. Tutte azioni dimostrative contro simboli delle istituzioni e dell’informazione, quindi del potere costituito e di chi lo narra rendendolo accettabile.

“Lo Stato non scende a patti con chi minaccia” si dirama giustamente da Palazzo Chigi. È, infatti, compito delle istituzioni reagire, tutelare e ancor prima capire. L’aggettivo “insurrezionalista” associato al temine anarchismo, richiama la pratica rivoluzionaria dell’insurrezione, intesa come rivolta violenta contro le autorità.

In questi anni, gli ambienti anarchici hanno condotto azioni dalla marcata connotazione ideologica. Nel 2012 il dirigente dell’Ansaldo nucleare Roberto Adinolfi è stato sparato alle gambe, episodio per il quale Cospito è stato arrestato. Un episodio che richiama le azioni originarie delle BR. La cui prima azione fu appunto nel 1975 la gambizzazione del democristiano Massimo De Carolis, uno dei leader della “maggioranza silenziosa” milanese. Poi, subito dopo, si alzò la mira.

Com’è noto, la scintilla che sta provocando gli avvenimenti di questi giorni è lo sciopero della fame di Cospito contro le condizioni carcerarie e che dura dal 7 novembre, compromettendo la sua salute. Il 24 gennaio è intervenuta anche Amnesty Internazional.

La pubblica opinione italiana sta vedendo materializzare un possibile “pericolo anarchico”. Vista la ramificazione della protesta sul suolo nazionale ed estero, è difficile prevedere cosa succederà nei prossimi giorni, poiché si potrebbero ripetere attentati e manifestazioni dagli esiti imprevedibili.

Oltre all’indispensabile prevenzione e gestione in chiave di ordine pubblico, occorrono soprattutto iniziative politiche su più livelli. A questo riguardo, potrebbe essere significativa l’azione dell’intelligence, che è uno strumento democratico a disposizione esclusivamente del potere politico e che ha contatti con le omologhe agenzie internazionali.

C’è certamente la questione immediata delle condizioni di salute di Cospito e che richiama il tema, costantemente eluso, delle condizioni carcerarie nel nostro Paese, per le quali la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo più volte ci ha condannato per “trattamento inumano e degradante”.

Accanto a questa, c’è un’altra questione di più ampio respiro e all’interno della quale questo episodio si inquadra poiché rappresenta la spia di qualcos’altro: il crescente disagio sociale, determinato dall’ampliamento ulteriore delle diseguaglianze, che, secondo me, rappresenterà una sicura emergenza nei prossimi anni.

L’Italia è uno dei pochi paesi al mondo in cui è diminuito il Pil pro-capite fra il 2000 e il 2019.

Se inquadriamo questo dato con le conseguenze della precarizzazione del lavoro, dell’immigrazione, della volatilità della rappresentanza politica, dell’invasione della criminalità nell’economia legale, della crisi dell’istruzione, della diminuzione demografica, l’ipotesi più probabile e pericolosa è che il disagio sociale possa trasformarsi da problema di ordine pubblico, come in questo caso, in una questione vitale per la sicurezza e la credibilità delle istituzioni.

Infatti, se una percentuale consistente di cittadini con un reddito che adesso consente la sussistenza economica dovesse scivolare in condizioni di quasi indigenza, la situazione sociale potrebbe risultare fuori controllo.

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