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Le sanzioni sul petrolio russo funzionano. Ecco perché

La Federazione Russa perde circa 170 milioni di dollari al giorno a causa dell’effetto combinato delle sanzioni occidentali. Il risultato principale del price cap sul greggio è quello di avere istituzionalizzato gli sconti di Mosca che deve vendere il greggio a metà prezzo rispetto al Brent. Un trend che proseguirà nel 2023 e potrebbe mettere in crisi lo sforzo bellico in Ucraina

Le restrizioni sul greggio stanno costando al Cremlino 170 milioni di euro al giorno, secondo quanto riporta Bloomberg. Secondo l’agenzia statunitense, la pressione artificiale sul mercato degli idrocarburi (petrolio e gas) per ridurre le risorse di Mosca sta funzionando per una serie di motivi, tra cui il price cap.

Il price cap è stata l’ultima misura, adottata il 5 dicembre 2022 da Ue, G7 e Australia, e stabilisce un tetto massimo di prezzo sul greggio russo a 60 dollari al barile. Su richiesta di alcuni stati europei, l’Ue ha inoltre deciso di rivedere il limite di prezzo ogni due mesi, mantenendolo circa il 5% al di sotto del prezzo medio di mercato, calcolato sulla base dei dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia.

Nonostante sia ancora presto per determinare il reale impatto di questa singola misura, gli analisti constatano un trend evidente, dato da una serie di fattori. L’insieme delle sanzioni, tra cui appunto il limite di prezzo, costringono la Russia a vendere petrolio con un forte sconto, limitandone il guadagno. Per dare dei dati, attualmente il Brent si aggira intorno agli 80 dollari al barile, mentre Ural viene quotato a circa $40. In secondo luogo, circa il 90% dei servizi connessi al mercato del petrolio, come ad esempio gli essenziali servizi assicurativi, viene erogato da Paesi del G7, ovvero quelli che implementano le sanzioni. Inoltre, la lontananza geografica dei porti dei nuovi grandi acquirenti asiatici (come Cina e India) fa aumentare i costi di trasporto, oltre alla leva negoziale degli orientali. A dicembre, i volumi di esportazione verso Nuova Delhi hanno superato il milione di barili al giorno.

Inoltre non si contano le navi cisterna che lasciano i porti russi senza una chiara destinazione finale, assai probabilmente diretti in Cina o in Medio Oriente. Si registra anche un aumento dei trasferimenti da nave a nave, probabilmente per nascondere l’origine del greggio. Insomma, si fa sempre più complesso per la Russia esportare la risorsa.

Secondo Politico, questi trend proseguiranno nel 2023. Martedì il ministro delle finanze russo, Anton Siluanov, ha detto che le stime prevedono un deficit di bilancio del 2% del Pil per il 2023. Ha poi aggiunto che questo non impatterà sull’andamento della guerra, ma costringerà il governo a scegliere quali risorse distrarre da quali settori per proseguire nello sforzo bellico.

Sostanzialmente, il Cremlino sta ipotecando il futuro economico russo per finanziare la guerra di oggi.


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