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Se l’eversione internazionale fa tappa in Brasile. Parla Jacopo Di Miceli

Brasilia

Dalle uscite di Bolsonaro all’assalto dei suoi sostenitori alle sedi delle istituzioni, l’arco degli avvenimenti di Brasilia segue quello di Washington su più livelli. Per l’esperto di complottismo, si tratta di un esempio del coordinamento globale delle destre radicali, che uniscono lo scetticismo anti-establishment alle pulsioni autoritarie

Quanto avvenuto domenica a Brasilia, dove migliaia di sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro hanno fatto irruzione nelle sedi delle istituzioni, è gravido di echi pesanti. Diverse ore dopo si contano oltre 1.200 arresti, la destituzione di diverse figure istituzionali, e la promessa congiunta di quattro tra le maggiori cariche dello Stato – tra cui il neo presidente Luiz Inácio Lula da Silva – di punire gli eversori e riportare la “normalità” nel Paese. Ma dietro all’avvenimento si avverte un movimento più complesso, internazionale. Così Formiche.net ha raggiunto Jacopo Di Miceli, curatore dell’Osservatorio sul complottismo e autore de L’ideologia della paura (People Editori), per mappare l’avvenimento e i suoi collegamenti con il resto del mondo.

Il paragone che si sta facendo in queste ore è tra gli eventi di Brasilia e quelli di Washington, a quasi due anni esatti dall’assalto a Capitol Hill.

Secondo me è piuttosto azzeccato, sia per le modalità di esecuzione che per i legami tra i due eventi. Anzitutto abbiamo una folla di sostenitori di un ex presidente perdente che ha assaltato i palazzi delle istituzioni. In scala maggiore: stavolta, oltre alla sede del Parlamento, sono stati assaltati anche il palazzo presidenziale e quello della Corte Suprema. Anche se non sembra esserci stata quella violenza che abbiamo visto a Washington (oltre alle morti del giorno, l’evento è stato all’origine di diversi suicidi tra le forze dell’ordine, vittime dello shock psicologico); per ora pare che a Brasilia “solo” 9 giornalisti abbiano subìto aggressioni.

Che altri legami riscontra?

Tra tutti, una coincidenza che sembra non esserlo: Eduardo Bolsonaro, il figlio dell’ex presidente, era a Washington nei giorni dell’assalto a Capitol Hill e aveva incontrato Mike Lindell, che ai tempi era un consigliere informale di Donald Trump, uno che lo incalzava a far intervenire l’esercito e dichiarare la legge marziale. Agência Pública, un sito brasiliano di giornalismo investigativo, ha conteggiato 77 incontri tra Eduardo e persone dell’entourage trumpiano, o altri politici conservatori, negli ultimi due anni. La relazione più stretta è quella con Steve Bannon, l’ex stratega di Trump che oggi è a capo di The Movement, un movimento delle destre internazionali. Bannon aveva individuato Bolsonaro junior come il capo del suo movimento per l’America Latina, e ha più volte espresso sostegno per Bolsonaro senior.

Ci sono similitudini anche nelle dinamiche degli eventi?

Le modalità sono speculari a quelle del movimento trumpista: Jair Bolsonaro ha passato mesi a fare osservazioni complottistiche sulle elezioni, sul fatto che il voto elettronico non fosse affidabile. E questa narrativa è stata propagandata anche negli Stati Uniti, Lo stesso Bannon, nel suo podcast War Room, ha parlato del Brasile in 96 episodi su 923 totali (dati Agência Pública). Anche nel sottobosco complottista hanno spinto molto sull’illegittimità del voto, ripetendo senza fornire prove la narrativa statunitense secondo cui i fornitori di macchinari per le votazioni, Dominion e Smartmatic, erano compromessi. Nonostante queste aziende non avessero vinto l’appalto per le elezioni brasiliane. E alcune reti mainstream, tra cui Fox News, hanno ripetuto queste narrative: il conduttore di punta Tucker Carlson ha detto che in Brasile milioni di schede sono andate perdute. Cosa impossibile, perché si vota solo elettronicamente.

Negli Usa, una commissione d’inchiesta parlamentare ha decretato la responsabilità di Trump nel fomentare la rivolta di Capitol Hill. Vale lo stesso per Bolsonaro?

Anzitutto va ricordato che l’ex presidente si trovava in Florida. Non possiamo ipotizzare sul perché fosse lì. Ciò detto, le responsabilità di Bolsonaro sono di tipo morale. Non sappiamo se possa esserci stato lui, o l’esercito, dietro a questo “golpe popolare”. Potremmo chiamare quanto avvenuto un episodio di “complottismo stocastico”, cioè dichiarazioni intrise di complottismo radicale che mirano a provocare atti di violenza. Questi episodi non sono prevedibili con precisione: non si sa dove e quando, ma si sa che accadranno.

Effettivamente, un grande numero di esperti aveva suonato l’allarme.

Dicevano da mesi che in Brasile si puntava a emulare Capitol Hill. I segnali erano chiarissimi, almeno da settembre 2021, quando Bolsonaro ha iniziato a negare che il voto elettronico fosse sicuro. Nei giorni scorsi un suo sostenitore voleva compiere un attentato in un aeroporto di Brasilia con un camion esplosivo. Da settimane ci sono manifestazioni (anche violente, in qualche caso contro la polizia) e si sono creati enormi accampamenti di manifestanti, che loro chiamavano “campi patriottici”, in cui migliaia di bolsonaristas si sono radicalizzati. Avevano addirittura un rifornimento garantito di cibo. E poi ci sono stati degli annunci per organizzare l’assalto, con una specie di linguaggio in codice (la mobilizzazione era indicata come “festa”) non tanto utile su Telegram quanto su Twitter. Questa piattaforma ha avuto un ruolo abbastanza importante in questa vicenda: si è scoperto che tra tutti i licenziati da Elon Musk c’era anche il team anti-disinformazione in lingua portoghese.

E come differisce l’assalto di Brasilia da quello di Capitol Hill?

Per esempio, le classi sociali che sostengono Bolsonaro sono diverse da quelle che sostenevano Trump. Dai sondaggi eseguiti fino a ieri davanti a questi “campi patriottici” risulta che circa il 75% dei brasiliani era contrario a queste manifestazioni. Il dato sale al 96% tra gli elettori del presidente Lula e si abbassa al 50% tra gli elettori di Bolsonaro – a significare che nemmeno questi ultimi erano convintamente eversivi. Anzi: la protesta contro la legittimità del voto è stata appoggiata soprattutto da elettori con un reddito più elevato.

Un dato abbastanza controintuitivo: di solito, dietro a questi movimenti ci immaginiamo coloro che Trump chiamava i “dimenticati”.

Ma dietro c’è un impianto ideologico. Quello che può avvicinare, seppur parzialmente, il contesto statunitense e quello brasiliano è il fatto che entrambe le destre vedono la controparte come una minaccia di tipo comunista. Se per Lula, apertamente socialista, la narrativa può valere fino a un certo punto, è più difficile cucirla addosso ai democratici di Joe Biden. Ma il terreno di partenza è un’ideologia di destra molto radicale, talvolta estrema, che sta cercando di coordinarsi a livello globale. Il movimento di Bannon è forse l’esempio più chiaro, ma l’emulazione di Capitol Hill – che è avvenuta, in piccolo, anche in altri Paesi – parte dalla negazione della legittimità del voto, diventata la nuova strategia della destra radicale globale a prescindere dalla differenza tra i vari Stati.

Molti osservatori, sia in Brasile che fuori, hanno criticato l’apparente inerzia delle forze dell’ordine nel gestire gli eventi, evidenziando la vicinanza tra Bolsonaro, ex generale, e l’esercito nazionale.

Anche qui occorre aspettare per capire le responsabilità. Ecco quello che sappiamo: da settimane Lula faceva pressione sulle forze di polizia affinché sgomberassero i “campi patriottici” e ci sono stati moltissimi arresti dopo l’attentato fallito dell’aeroporto. Il responsabile della sicurezza era l’ex Ministro della giustizia di Bolsonaro, ed è stato rimosso, come anche il governatore del distretto federale di Brasilia. Non sappiamo quali ordini avessero ricevuto le forze di polizia nella giornata di domenica, né quanti bolsonaristas ci potessero essere nella catena di comando e nelle singole unità.

Che lettura definitiva dà dell’evento?

Secondo me è un chiaro esempio del coordinamento globale delle destre radicali. Come scrivo nel libro, anche Capitol Hill si ispirava alla rimozione del dittatore serbo Slobodan Milošević: una protesta popolare contro un dittatore che ha avuto successo. Belgrado è stata la prima “Capitol Hill” da cui tutti, inclusi i gruppi di estrema destra come gli Oath Keepers, hanno tratto ispirazione. Ma dopo gli eventi di Washington, il simbolo della presa del palazzo ha assunto un altro tipo di significato, entrando a pieno titolo nell’immaginario collettivo sia dell’estrema destra, sia dei gruppi complottisti, entrambi diffidenti verso il potere costituito: un nuovo scetticismo globale che nasconde al suo interno pulsioni autoritarie.



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