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Se la Serbia rigetta la propaganda russa (e guarda all’Ue)

Aleksandr Vucic

La vicinanza alla Russia continua a frapporsi tra Belgrado e le capitali europee, che ne osteggiano l’accesso all’Ue perché non si è allineata alle sanzioni. Al tempo stesso, il presidente serbo sta rifiutando con forza l’immagine di un Paese filorusso e ammettendo che l’Ue “è la nostra strada”. Il momento offre l’opportunità di un reset, dove l’Italia può giocare un ruolo importante

Il legame tra Russia e Serbia rimane l’ostacolo maggiore nel processo di integrazione di Belgrado tra le capitali europee. La richiesta formale di accesso all’Ue risale al 2009, ma il Paese tende a non allinearsi su alcuni dossier cruciali – primo fra tutti l’invasione russa dell’Ucraina, su cui la Serbia ha preferito la neutralità –, cosa che rende la pratica serba invisa alla maggior parte dell’Ue. Anche se dalle parti di Bruxelles sanno perfettamente che rallentare l’integrazione dei Balcani lascia spazio a Mosca.

Il 2022 ha visto un nuovo, forte impulso nei negoziati di adesione di Albania e Macedonia del Nord, l’entrata nell’euro della Croazia e la concessione dello status di Paese candidato alla Bosnia-Erzegovina, assieme all’Ucraina e alla Moldavia. Niente da fare per la Serbia: gli eurodeputati hanno approvato due risoluzioni per sospendere i negoziati di adesione fino a quando Belgrado non avrà accettato di allinearsi alle sanzioni sulla Russia.

Giovedì, parlando al World Economic Forum di Davos, il presidente Aleksandar Vučić si è dichiarato “pessimista” riguardo al processo di integrazione. “Non siamo più entusiasti come un tempo, così come l’Unione europea non è così entusiasta di noi come pensavamo [fosse]”. Ma, al contempo, Belgrado si rifiuta di essere incasellata come capitale essenzialmente filorussa.

Negli scorsi giorni è emerso dai canali social filorussi un video della compagnia di mercenari Wagner, in lingua serba, che mostra “volontari” serbi nell’atto di addestrarsi insieme alle milizie russe in Ucraina. Il contenuto, che sembra pensato per incoraggiare il reclutamento locale, ha immediatamente sollevato un vespaio in Serbia, dove le partecipazioni a conflitti esteri sono illegali e l’attitudine verso la guerra è tutt’altro che conciliante.

Giovedì Vučić in persona è intervenuto con foga sulla televisione nazionale serba. “Perché voi di Wagner [reclutate] dalla Serbia quando sapete che è contro le nostre regole?”, ha detto, per poi dichiarare che non solo la Serbia resta “neutrale” rispetto alla guerra in Ucraina, ma che non parla con il presidente russo Vladimir Putin da “molti mesi” – lasciando intendere un rapporto tutt’altro che roseo. Durante una conferenza di Politico a Davos ha contestato la vicinanza del suo Paese alla Russia, accusando gli articoli che lo definiscono un “fantoccio di Putin” di propalare “bugie brutali”.

Il profilo è un chiaroscuro. Alla stessa conferenza il presidente serbo ha ignorato un giornalista che gli ha chiesto se ritenesse Putin un criminale di guerra e rimproverando i partecipanti per averlo definito “un pazzo”. Dopodiché si è detto d’accordo sul fatto che i territori occupati in Crimea e nel Donbass facciano parte dell’Ucraina, aggiungendo che la Serbia è “più fedele all’integrità territoriale degli Stati membri dell’Onu di molti altri”.

Pur non allineandosi alle sanzioni occidentali, Belgrado ha sempre votato contro la Russia nelle mozioni relative all’invasione dell’Ucraina alle Nazioni Unite. E nessuno tra i partiti principali ha mai dato segnali di apprezzamento della guerra scatenata dal Cremlino. In più, la Bbc registra che il numero di reclute serbe coinvolte dalla Wagner non sembra essere significativo; alcuni hanno combattuto a fianco delle forze russe in Ucraina nel 2014, ma senza alcun tipo di approvazione ufficiale.

Vucic, da parte sua, ha parlato alla conferenza di conversazioni “molto difficili” con gli inviati speciali di Usa e Ue. Dopodiché ha avvertito che si rivolgerà ai serbi nel fine settimana per dire loro “ciò che è richiesto e atteso dalla Serbia riguardo al Kosovo e alle sanzioni contro la Russia”. Non è la prima volta che parla alla nazione per poi evitare di impegnarsi in un cambiamento politico importante. Ma questa settimana il presidente serbo ha ribadito ancora una volta che la traiettoria del suo Paese è occidentale. “So che l’Ue è la nostra strada”, ha detto Vučić a Bloomberg; “non ce ne sono altre”.

La palla è anche nel campo dei Paesi europei. Finché questi hanno mostrato scarso entusiasmo per l’allargamento del blocco ai Paesi balcanici, per la Serbia aveva senso mantenere legami amichevoli con Mosca: le forniture di energia a basso costo e il rifiuto del Cremlino di riconoscere l’indipendenza del Kosovo erano ottime ragioni. Ma l’invasione dell’Ucraina ha cambiato le percezioni, scrive la Bbc, e la Serbia non ha apprezzato il parallelismo che fece Putin tra la dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo e i territori ucraini occupati per giustificare il riconoscimento di questi ultimi.

All’atto pratico, se l’astro geopolitico della Russia continua a calare, il baricentro della convenienza serba continuerà a spostarsi verso Occidente. Il momento offre ottime opportunità al presidente serbo di virare nella direzione giusta, e al tempo stesso garantisce ai Paesi europei una finestra di azione per tirare a sé Belgrado e sottrarla dall’influenza russa. In generale, come ha detto Giorgio Fruscione (esperto di Balcani dell’Ispi) a Formiche.net, più i processi di avvicinamento rallentano, più si apre spazio alla Russia.

Il ruolo dell’Italia è di sponsor primario dell’integrazione dei Balcani nell’Ue, ha continuato l’esperto, “ruolo che con la recente visita dei ministri è stato rinnovato, anche con l’annuncio della conferenza internazionale che l’Italia intende organizzare per darsi una maggiore centralità in quel suo vicinato”. Ha convenuto anche Andrea Carteny, professore di Storia delle relazioni internazionali alla Sapienza di Roma, su queste colonne: l’Italia “può intervenire come player nei Balcani perché è un facilitatore, sia per lo sviluppo dei programmi europei e internazionali di sviluppo economico e di stabilizzazione, sia per il proprio status di attore storico dell’area”.

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