Carlo Giovanardi risponde alla lettera aperta indirizzata al governo e firmata da Tivelli e Parsi sulle adozioni internazionali. Già sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla famiglia dal 2008 al 2011 ed ex presidente della Cai, Commissione adozioni internazionali, ecco secondo il politico come è necessario intervenire
Luigi Tivelli e Maria Rita Parsi hanno indirizzato una lettera aperta al Governo per sensibilizzarlo sul tema della crisi delle adozioni internazionali.
Avendo presieduto come sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla famiglia dal 2008 al 2011 la Cai (Commissione Adozioni Internazionali) penso di aver titolo per svolgere qualche considerazione in merito.
Quando lasciai la presidenza nel 2011 per la caduta del governo Berlusconi eravamo arrivati alla cifra record di 4000 adozioni all’anno, per merito soprattutto della vicepresidente, il magistrato Daniela Bacchetta e del dirigente generale Maria Teresa Vinci.
Queste due grandi professioniste avevano relazioni costanti e personali con chi nei Paesi di provenienza dei bambini gestiva le adozioni internazionali, come ho avuto modo di constatare accompagnandole in missione in Russia, in Cambogia e nel Burkina Faso, dove la Cai aveva organizzato un incontro con tutti i Paesi africani dell’area subsahariana.
Alle missioni all’estero si accompagnavano incontri bilaterali in Italia con altri Paesi dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia dove le delegazioni potevano incontrare gli Enti delle Adozioni e le famiglie adottanti constatando di persona come venivano trattati i loro bambini adottati in Italia.
Naturalmente sono sempre stato presente anche alle riunioni della Commissione con i rappresentanti degli enti e dei ministeri interessati, dove per ore si discuteva delle delibere messe all’ordine del giorno.
Più volte poi in quegli anni mi sono incontrato con gli enti delle adozioni in interminabili ma istruttive ricognizioni dei loro problemi e delle loro esigenze.
Parsi e Tivelli si domandano come sia stato possibile che in poco più di un decennio si sia passati da 4000 bambini adottati all’anno a circa 500.
La prima risposta è che in questi ultimi anni la Cai non ha avuto nessun indirizzo politico essendo stata abbandonata a se stessa dai governi successivi sia sul fronte dei rapporti con i Paesi di origine sia nel (mancato) dialogo con gli enti italiani che si occupano di adozioni. Ma non basta il mancato impegno politico per giustificare questo crollo.
Chi adotta all’estero sa benissimo che deve impegnarsi in uno straordinario gesto di solidarietà verso bambini abbandonati, spesse volte con problemi difficili da risolvere.
La legge italiana pertanto richiede che i servizi sociali e i tribunali dei minorenni verifichino che le coppie, obbligatoriamente sposate, che vogliono adottare, abbiano condizioni di età, reddito e salute tali da garantire un futuro all’adottato.
Ma negli ultimi anni, malgrado la legge italiana lo consideri un delitto, sempre più coppie italiane etero od omosessuali si recano all’estero per “comprarsi” per qualche centinaio di migliaia di euro un neonato tramite la famigerata pratica dell'”utero in affitto”.
Neonato che deve essere perfetto, perché le clausole contrattuali prevedono la sua eliminazione prima della nascita se compare qualche difetto.
Questi bambini, sottratti alla donna che li ha partoriti e portati in Italia, dove non possono essere registrati all’anagrafe, dopo pochi anni per il presunto “superiore interesse del bambino ” vengono dati in adozione speciale ai committenti.
Rendere reato universale la pratica dell’utero in affitto anche se commesso all’estero può mettere un argine a questa deriva di sfruttamento dei ricchi nei confronti di chi per sopravvivere deve purtroppo anche accettare di fare gestazioni per altri.
Ma allora, qualcuno chiederà, perché non consentire di adottare all’estero anche alle coppie omosessuali?
La prima risposta è perché i Paesi di origine non ne vogliono sapere, a cominciare dalla Russia e dalla Cina, che pretendono coppie etero regolarmente sposate.
La seconda è perché nel mondo di bambini da dare in affidamento temporaneo ce ne sono tanti ma adottabili molto meno e tanti Paesi per ragioni politiche non consentono l’adozione internazionale: per ogni bambino adottabile c’è pertanto una fila di coppie italiane in attesa che non si vede per quale motivo debba essere scavalcata da una coppia omosessuale.
Questo per un semplice motivo: a un bambino, che ha già avuto la sfortuna di perdere o non conoscere i genitori naturali, non si può negare il diritto di avere un nuovo padre e una nuova madre adottivi.
Penso pertanto che l’istituto dell’adozione, nazionale o internazionale, possa avere un futuro se si riuscirà a rendere universale il reato di “utero in affitto” e se la Cai assieme agli enti per le adozioni riprenderà un lavoro certosino di relazione con i tanti Paesi del mondo che hanno bambini da adottare (penso ad esempio alla Bielorussia) semplificando al massimo le procedure e non costringendo le coppie ad attese interminabili.
Sono sicuro, conoscendola bene, che Eugenia Roccella, come ministro per la famiglia e presidente della Cai, si muoverà con decisione in entrambe le direzioni.