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Quanto manca oggi un Tatarella. Landolfi racconta il padre del bipolarismo

Di Mario Landolfi
Heather Parisi, Giuseppe Tatarella, Gianfranco Fini

Pur teorizzando la strategia di “oltre il Polo”, egli ha sempre inteso la destra come parte di un sistema, che legittimava anche l'”altra parte”, cioè gli avversari della sinistra. Non esisteva un “tutto” da conquistare, ma un’area politico-culturale da presidiare e valorizzare. Il ricordo dell’ex ministro delle Comunicazioni e parlamentare di An

Non risultò per nulla facile, ai primi anni dei ’90, riconvertire da proporzionale in maggioritario il sistema politico italiano. Ma così imponeva ormai la trionfale valanga di “sì” abbattutasi sul referendum elettorale proposto da Mariotto Segni.

E che facile non fosse, lo conferma la scelta del Parlamento di contaminare il risultato referendario introducendo una quota proporzionale del 25 per cento nel Mattarellum, la legge elettorale nata sulle ceneri di quella abrogata a furor di popolo. I partiti, insomma, faticavano a distaccarsi completamente dal sistema di voto che per quasi mezzo scolo aveva scandito il ritmo della politica nazionale. Più di tutti, quelli poco abituati a pensarsi in coalizione con gli altri partiti.

Uno in particolare: il Msi-Dn, il “polo escluso” – secondo la fortunata definizione del politologo Piero Ignazi – poiché estraneo al cosiddetto “arco costituzionale”. A spiegare la presunta incompatibilità tra la destra di quegli anni e maggioritario c’è persino una leggenda che narra di baci e abbracci tra i parlamentari missini a legislatura terminata.

Si salutarono per sempre, a suggello della fine di un’esaltante e tormentata esperienza comune, convinti com’erano di averla potuta vivere solo grazie al sistema proporzionale. Giusto o sbagliato che fosse, è un fatto che alle elezioni del ’94 quegli stessi parlamentari non solo ritornarono tra gli scranni della Camera e del Senato, ma riuscirono anche a portarsi dietro un numero incredibilmente alto di nuovi colleghi. Il brutto anatroccolo era diventato uno dei cigni della nascente Seconda repubblica.

Ma i numeri non erano di per sé sufficienti a trasformare un partito a marcata impronta identitaria in forza di governo. E qui entra in gioco l’opera di cesello di Pinuccio Tatarella, il politico che ha dedicato ogni briciola del proprio tempo e della propria energia ad assicurarsi che il percorso della destra in tal senso fosse compiuto fino in fondo. Sì, perché oltre i tecnicismi del maggioritario, Tatarella intravedeva gli effetti della democrazia dell’alternanza.

Oggi è un dato acquisito. Allora no, perché doveva fare i conti con cinquant’anni di “bipartitismo imperfetto” e di “fattore K”, inteso come Kommunismus. In pratica, mezzo secolo di democrazia bloccata, imperniata cioè su un partito – la Dc – “condannato” a governare e su altri due – Pci e Msi – destinati all’opposizione rispettivamente per ragioni di politica internazionale e storico-costituzionali. Ora, invece il referendum aveva rivoluzionato tutto. Persino il rapporto con l’opinione pubblica: non aveva più alcun senso chiedere il voto dall’opposizione per l’opposizione. I partiti della Seconda repubblica – a destra come a sinistra – erano tutti potenzialmente forza di governo.

Questa, almeno, era la sfida. E Tatarella non esitò a raccoglierla. “In una democrazia dell’alternanza – sosteneva con ragione – non esistono ruoli per sempre: chi perde le elezioni è provvisoriamente all’opposizione e chi le vince è altrettanto provvisoriamente al governo”. Significa che si sta all’opposizione conservando una mentalità e una postura di governo. Una lezione, se vogliamo, ancora attuale. E che illumina Tatarella per quello che in realtà è: uno dei padri del bipolarismo politico.

Pur teorizzando la strategia di “oltre il Polo”, egli ha infatti sempre inteso la destra come parte di un sistema, che necessariamente ricomprendeva e legittimava anche l’”altra parte”, cioè gli avversari della sinistra. Non esisteva un “tutto” da conquistare, ma un’area politico-culturale da presidiare e valorizzare. Da qui il suo febbrile attivismo nella ricerca di ogni elemento in grado di rafforzare la competizione tra i poli e di consolidare la fragile democrazia dell’alternanza.

Obiettivi, se vogliamo, ancora validi. A conferma di quanto manchi oggi un Tatarella. E non solo a destra.

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