Simone Aliprandi è un avvocato, docente universitario e divulgatore che si occupa da vent’anni di diritto della proprietà intellettuale e diritto delle tecnologie digitali. In questa analisi, spiega quali norme si potrebbero applicare alle “creazioni” dell’Intelligenza Artificiale, le differenze tra i diversi ordinamenti, e le questioni ancora aperte
[L’immagine dell’articolo è stata generata con Dall-E: Visitatore di museo che guarda un quadro di intelligenza artificiale]
Più propriamente si chiama “intelligenza artificiale generativa”, ma qualcuno azzarda a chiamarla (impropriamente) intelligenza artificiale creativa, nonostante non si possa davvero parlare di un atto creativo quando a compierlo è una macchina, un software, un sistema automatizzato. ChatGPT, Dall-E, Midjourney, Stable Diffusion… Sono varie le tecnologie emerse in questi ultimi mesi e capaci di generare degli output che tradizionalmente rientrano nella definizione di “opere dell’ingegno” (come ad esempio le opere letterarie, musicali, grafiche, fotografiche) e quindi nel campo d’azione del diritto d’autore. Ma può esserci un diritto d’autore se manca un autore? Oppure un autore c’è sempre anche se occulto? Cerchiamo di dare qualche risposta.
Un diritto d’autore senza autore?
Come già accennato, l’aggettivo “creativo” applicato a un software o comunque a qualcosa di automatizzato stride con la nostra concezione dell’atto creativo, che appunto è strettamente umano. in passato ci si è posti il problema di un ipotetico “atto creativo animale” in merito ai casi di opere pittoriche o fotografiche realizzate da animali. Il più famoso ed emblematico è indubbiamente il monkey selfie scattato da un macaco che ha “giocato” con una fotocamera lasciata incustodita dal fotografo David Slater. Lì la questione si era risolta abbastanza agevolmente, poiché nel diritto statunitense c’è una norma che si occupa specificamente di quella fattispecie e ci sono anche alcune decisioni giudiziali (su opere pittoriche fatte da elefanti o sempre da primati). In sostanza, la soluzione è sintetizzabile come segue: l’animale non è consapevole di creare, non compie un vero atto creativo, e comunque non può essere titolare di un diritto d’autore né di un mero diritto di riproduzione.
Possiamo giocare di analogia e applicare lo stesso ragionamento alle opere “create” dall’intelligenza artificiale? No, per due motivi: innanzitutto si tratta di un fenomeno diverso, perché l’animale non è un software, crea sulla base di una sorta di istinto (pur aiutato dall’addestramento dell’essere umano) e non perché è stato programmato da un team di sviluppatori appositamente per creare; poi comunque sui sistemi AI generativi non ci sono norme e sentenze da richiamare.
I limiti di un diritto d’autore antropocentrico
Allora, se i concetti di creazione e di creatività sono legati a doppio filo con l’essere umano, anche il diritto d’autore lo è. L’apparato di norme che gli ordinamenti giuridici moderni hanno sviluppato per tutelare i frutti della creatività hanno sempre messo al centro la figura dell’autore, sia quelli di matrice angloamericana con il modello copyright, sia quelli di matrice francese con il modello diritto d’autore; i secondi ancor più dei primi. Salvo alcune eccezioni, è a favore della persona fisica che crea l’opera, appunto l’autore, che sorge il diritto di controllare e sfruttare economicamente gli utilizzi dell’opera stessa; e da lì tutto parte. Per tre secoli tutte le norme giuridiche e i principi giurisprudenziali si sono sviluppati proprio con l’autore al centro: come giustamente ha scritto il professor Roberto Caso, il diritto d’autore è tendenzialmente antropocentrico.
«Il diritto d’autore ed in particolare il diritto morale (come gli altri diritti della personalità) sono antropocentrici. Sono stati elaborati avendo a mente l’uomo. Sebbene molte leggi sul diritto d’autore, compresa quella italiana, non definiscano i concetti fondanti di autore, creatività (originalità), espressione (forma espressiva) e opera, non vi è dubbio che essi sono stati concepiti in un’epoca tecnologica che non conosceva l’IA. La capacità di adattamento di questi concetti è relativa.» (R. Caso, “Intelligenza artificiale e diritto d’autore”, cap. 22 della monografia “La società della mercificazione e della sorveglianza: dalla persona ai dati”, Ledizioni, marzo 2021, liberamente disponibile qui).
In altre parole, la coperta del diritto d’autore non è poi così corta, visto che in tre secoli di evoluzione è riuscita a coprire tutte le nuove varie forme di creazione e fruizione di opere; ma forse adesso la sua elasticità è stata sfruttata al massimo e difficilmente riesce a coprire anche le nuove istanze derivanti dalla diffusione dei sistemi AI.
I sistemi AI e il concetto di creatività
Servono quindi nuove norme in grado di regolamentare adeguatamente anche le nuove forme di creatività che sfruttano l’intelligenza artificiale? Forse sì. Al momento comunque non ce ne sono e quindi, in attesa di qualche precedente giurisprudenziale che indichi la strada da percorrere, dobbiamo applicare i principi generali del diritto d’autore.
Ed è proprio applicando i principi generali che cercheremo di rispondere alla prima fondamentale domanda: ciò che è prodotto con questi sistemi automatizzati è tutelabile con il diritto d’autore? La tentazione (indubbiamente allettante) e in cui molti sono caduti è di rispondere con un secco no; d’altronde, se non c’è un autore non può nemmeno esserci un diritto d’autore. Tuttavia la questione è ovviamente molto più complessa; e se fosse così semplice allora forse il dibattito scientifico si sarebbe già esaurito.
Innanzitutto una prima premessa. Restano ovviamente fuori dalla tutela quegli output così essenziali e così banali da non denotare quel minimo di originalità richiesta dall’ordinamento giuridico. Per intenderci: il disegno di un triangolo equilatero verde non sarebbe comunque considerato tutelabile, sia che a disegnarlo sia un essere umano sia che a disegnarlo sia un sistema AI (dietro il mio input “disegna un triangolo equilatero verde”). Lo stesso vale per testi banali, che ripercorrono dei cliché standard e necessitati.
Seconda premessa. Buona parte di questi sistemi vengono dal contesto statunitense dove propriamente non esiste il diritto d’autore bensì il copyright, il quale ha dei meccanismi un po’ diversi: la figura dell’autore non è sempre centrale, l’aspetto patrimoniale prevale su quello morale/personale, la tendenza è di offrire una tutela (anche ridotta) a tutto ciò che, pur mostrando livelli molto bassi di creatività, è passibile di una commercializzazione.
Nel diritto USA vi è una teoria abbastanza consolidata (ereditata dal diritto britannico) secondo cui, affinché un’opera sia tutelata, deve mostrare “sufficient skill, labour and judgment”, cioè sufficiente competenza/capacità, lavoro/impegno e giudizio/scelta. Un sistema AI generativo potrà avere forse skill (perché è stato addestrato a creare opere) e si fa carico al posto dell’essere umano del tempo e dell’energie necessarie per creare l’opera (labour); ma di certo non potrà occuparsi di dare le direttive creative nel fornire gli input e tanto meno di scegliere tra le varie opzioni proposte come output quale sia quella migliore da pubblicare e diffondere. Ricordiamo infatti che, salvo arrivare alla famosa autocoscienza di Skynet nel film Terminator, i sistemi AI non prendono iniziativa autonomamente per creare opere; c’è sempre bisogno di un essere umano che fornisce l’input e determina che l’output fornito sia adeguato alla richiesta e pubblicabile.
Conclusioni e altre questioni aperte
Non finisce qui. Le questioni da indagare per comprendere il rapporto tra proprietà intellettuale e intelligenza artificiale, infatti, sono varie e tutte altamente sfidanti; e di certo non si esauriscono con il chiarire l’aspetto della sussistenza dei diritti e della titolarità di tali diritti. Una volta assodato che le opere generate con sistemi AI possono essere soggette a tutela (sulla base e nei termini di quanto abbiamo spiegato) bisogna capire di chi sono i diritti sugli output, come possono essere gestiti questi diritti, che cosa succede se due utenti ottengono dalla piattaforma degli output identici o comunque molto simili e, soprattutto, se l’attività di addestramento di questi sistemi comporta un utilizzo di opere tutelate soggetto a preventiva autorizzazione da parte dei rispettivi titolari.
Tra l’altro, oltre ai principi del diritto qui sopra illustrati, per completare il quadro sarebbe opportuno fare un passo in più e spostarci sul piano delle regole di matrice contrattuale che disciplinano i vari servizi di intelligenza artificiale; in altre parole, i termini d’uso delle varie piattaforme, che gli utenti accettano all’atto della creazione del proprio account e nelle quali è espressamente indicato quali diritti sono riservati al service provider e quali invece sono attribuiti all’utente. Indagheremo eventualmente questi interessantissimi aspetti in successivi approfondimenti.
Intanto possiamo iniziare a riflettere e a metabolizzare il fatto che, come mostrato in questi paragrafi, il fenomeno delle “intelligenze artificiali generative” mette davvero in crisi tutto il sistema di copyright e di diritto d’autore per come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi e ci obbliga a un ripensamento di ampio respiro sull’idea stessa di creatività e di originalità; arrivando così a un diritto d’autore più adeguato al contesto attuale se non addirittura a un “diritto d’autore postumano”.
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