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Vi spiego la sfida spaziale per Israele. Parla Dan Blumberg (Isa)

Stiamo assistendo a uno sforzo parallelo tra investimenti nazionali e privati, ce ne saranno ancora governativi ma attraverso le aziende, spiega il prof. Dan Blumberg, presidente dell’Agenzia spaziale israeliana (Isa). “Israele sta lavorando con gli alleati per utilizzare congiuntamente lo Spazio come risorsa per proteggere e rafforzare la loro società. E l’Italia è uno dei Paesi con cui lavoriamo”

La presenza internazionale alla Conferenza spaziale internazionale Ilan Ramon, svoltasi questa settimana a Tel Aviv, è stata “enorme”, racconta il professor Dan Blumberg, presidente dell’Agenzia spaziale israeliana (Isa). Alcuni dei più importanti attori dei maggiori Paesi “spaziali” hanno partecipato all’evento. “Vedono Israele come una calamita, vogliono entrare in contatto con la comunità, vogliono entrare in contatto con le nostre startup, vogliono guardare le applicazioni che stiamo sviluppando e vogliono lavorare con noi”. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per questa intervista esclusiva.

Com’è cambiato il settore spaziale in questi anni?

Il settore spaziale è stato alimentato per molti, molti anni soprattutto dalla geopolitica. E dalla competizione tra nazioni e culture. La corsa allo spazio durante la Guerra Fredda tra Unione Sovietica e Stati Uniti era un modo per dimostrare ciò che si poteva fare tecnologicamente e raccogliere informazioni da luoghi lontani. Per questo motivo e per il costo dell’accesso allo Spazio, la maggior parte degli investimenti era su base nazionale. Negli ultimi dieci anni c’è stato un cambiamento significativo con l’ingresso di imprese e società private nell’arena spaziale.

Che cos’è cambiato?

Quando gli Stati Uniti hanno installato il Gps, non lo hanno fatto per permetterci di usare Waze o Google Maps. Il motivo era principalmente militare. Poi abbiamo capito che potevamo usare il Gps per molte altre cose, per migliorare le nostre vite. E poi abbiamo iniziato a vedere aziende private che si occupano delle applicazioni a valle dell’utilizzo delle risorse spaziali e investono nella realizzazione e nel lancio di nuovi sistemi spaziali.

Che fase stiamo attraversando?

Ci troviamo in un vero e proprio punto di svolta: da investimenti nazionali a investimenti privati con una crescita significativa e massiccia dell’attività spaziale. Inoltre, si è assistito a una vasta riduzione dei costi da investire per inviare un satellite nello Spazio.

Come stanno cambiando i rapporti tra pubblico e privato?

Gli Stati nazione saranno sempre in competizione tra loro per mostrare la qualità della vita e le conquiste tecnologiche raggiunte, e questa è la natura dell’umanità, almeno per ora. Ma detto questo, probabilmente si assisterà a uno sforzo parallelo tra investimenti nazionali e privati. Ci saranno ancora investimenti governativi, ma attraverso aziende private.

Quello di un attacco a satelliti è lo scenario peggiore in un conflitto moderno?

L’evento più pericoloso in qualsiasi guerra è, innanzitutto, un danno alle infrastrutture civili. Non credo che i satelliti siano lo scenario peggiore in caso di guerra, ma il modo in cui le superpotenze si sono evolute, le loro alleanze sui satelliti sono diventate significative. E qualsiasi blackout o azione contro di essi avrà un impatto sostanziale anche a terra. Quindi potrebbe innescare un effetto domino.

Che ruolo ha Israele nel settore spaziale?

Israele è stato l’ottavo Paese al mondo a ottenere il pieno accesso allo Spazio, il che significa costruire un satellite, lanciarlo dal proprio territorio e gestirlo. Questo è avvenuto già nel 1988. Sono pochi i Paesi al mondo che hanno questo tipo di accesso e allora erano soprattutto le superpotenze o le nazioni molto grandi ad averlo. Oggi Israele ha sempre più aziende che guardano allo Spazio come a una risorsa. Il Paese capisce che può essere un motore di crescita per l’economia. Stiamo cercando di sviluppare un ecosistema per creare un motore di crescita basato sullo Spazio. Al momento ci sono circa 60 aziende direttamente coinvolte in attività spaziali. E speriamo di raddoppiare la cifra entro il decennio. Almeno.

Parliamo di ecosistema, una parola che spesso si sente in Israele quando si parla di cybersecurity. In che cosa consiste quando parliamo di Spazio?

Nel corso della mia carriera ho lavorato intensamente alla costruzione dell’ecosistema cyber. Oggi possiamo costruire anche un ecosistema intorno allo Spazio con ricerca accademica, investimenti governativi, coinvolgimento di piccole, medie e grandi aziende e sensibilizzazione della popolazione su ciò che stiamo facendo. In modo leggermente diverso dalla cybersecurity. L’ecosistema spaziale sarà probabilmente più piccolo di quello della cybersecurity. Ma detto questo, l’ecosistema spaziale è costituito da tecnologie molto più profonde e comprende sia software sia hardware.

Quanto è importante per un Paese come Israele la cooperazione spaziale?

Israele è un Paese piccolo. E lo spazio è costoso. Quindi dobbiamo collaborare con altri Paesi. Basti pensare che sulla Stazione Spaziale Internazionale, i russi, gli americani e altri stanno lavorando insieme a causa degli enormi costi di accesso e di volo nello Spazio. Anche Israele sta lavorando con gli alleati per utilizzare congiuntamente lo Spazio come risorsa per proteggere e rafforzare la loro società. E l’Italia è uno dei Paesi con cui lavoriamo.

A livello bilaterale o tramite l’Unione europea?

Entrambi. Lavoriamo con l’Europa: siamo fortemente coinvolti nella ricerca attraverso programmi come Horizon Europe. E lavoriamo anche con Paesi specifici in Europa, come Italia, Germania e Francia. Non siamo membri dell’Agenzia spaziale europea purtroppo. Israele potrebbe trarre notevoli vantaggi dall’essere un membro dell’Agenzia spaziale europea, e credo che quest’ultima trarrebbe beneficio dall’avere Israele in quella comunità.



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