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E se tornasse la cara, vecchia, globalizzazione? L’analisi di Pennisi

Decenni fa, la tecnologia abbassò drasticamente i costi di transazione e diedero, quindi, un nuovo impulso a quella che venne, poi, chiamata globalizzazione.  Se si stessero verificando determinanti analoghe, nonostante i venti di guerra che aleggiano su tutto il mondo? Il commento di Giuseppe Pennisi

Le relazioni economiche internazionali non sembravano avere raggiunto da anni un punto così basso: la pandemia da Covid-19 prima e l’aggressione della Federazione russa all’Ucraina poi hanno provocato l’interruzione delle linee tradizionali della catena del valore e, quindi, la frammentazione del commercio internazionali. Si respira il rischio di una nuova crisi finanziaria che partendo dall’area dell’euro e dei Paesi in via di sviluppo potrebbe colpire il resto del mondo. Accanto alla Guerra calda in Europa orientale si è accesa una nuova Guerra fredda tra Stati Uniti e Cina, aggravata da tensioni sempre più pesanti nel bacino del Pacifico,

Negli Anni Trenta del secolo scorso, John Maynard Keynes soleva ripetere che soprattutto tra gli economisti c’è spesso un eccessivo pessimismo e non si vedono e neanche si intravedono i bagliori di ottimismo. Parte di questi bagliori sono efficacemente riassunti in un editoriale dell’ultimo fascicolo di The Economist (18-24 febbraio 2023).

In estrema sintesi occorre guardare a:

a) le dinamiche demografiche;

b) la tecnologia;

c) la maggiore e migliore offerta di beni pubblici internazionali soprattutto in campi come la sanità e l’istruzione.

Nell’Ottocento, grandi migrazioni verso aree (Australia, Stati Uniti) poco popolate portarono personale ben addestrato, e soprattutto molto motivata a fare bene ed avere successo) e furono una delle principali determinanti e della crescita e dell’integrazione economica internazionale.

La tecnologia (trasporti marittimi, telegrafo, telefono) abbassò drasticamente i costi di transazione e diede, quindi, un nuovo impulso a quella che venne, poi, chiamata globalizzazione. L’offerta di beni pubblici internazionali si ampliò alla grande e diventò il nesso tra dinamiche demografiche ed integrazione dei mercati.

Se si stessero verificando determinanti analoghe, nonostante i venti di guerra che aleggiano su tutto il mondo? In primo luogo, tranne poche eccezioni (tra cui purtroppo l’Italia, soprattutto il Sud e le Isole), nei Paesi ad alto reddito medio i tassi di disoccupazione non sono mai stati così bassi ed i programmi d’investimento pubblico e privato così ampli da promettere crescita con ulteriore riduzione della disoccupazione. Inoltre, le dinamiche demografiche dal Sud del mondo promettono il replicarsi in parte le tendenze dell’Ottocento, sempre che si sappiano ben definire “corridoi” di professionalità, in atto od in potenza, che possano contribuire allo sviluppo internazionale; ciò richiede un’attenta strategia di selezione.

In secondo luogo, nonostante le condizioni di contesto, il progresso tecnologico sta procedendo alla grande, come dimostrato, ad esempio, dalla rapidità dello sviluppo e dell’applicazione dei vaccini anti-Covid 19. A sua volta, tale rapidità (ed efficacia) non sarebbero stati possibili senza una vasta diffusione di beni pubblici internazionali nei campi della sanità e dell’istruzione. Su, coraggio, non abbattiamoci troppo. Siamo alle porte di una nuova globalizzazione, che si annuncia come articolata su intese tra grandi mercati comuni e zone di libero scambio.

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