Nel giorno dell’anniversario dalla morte, Domenico Crocco, autore della biografia a lui dedicata “Pinuccio. Vita di Giuseppe Tatarella” (Edizioni del Roma), si interroga: “Che cosa farebbe oggi Pinuccio? Che cosa suggerirebbe ai suoi continuatori e ai suoi alleati in questo quadro di emergenza bellica e di precarietà energetica, di fermenti anarchici giudiziari e di attacchi concentrici ai valori della tradizione, di spinte federaliste e di aneliti presidenzialisti?”
La trasformazione della destra post fascista in destra di governo è sempre stata l’ambizione politica di Pinuccio Tatarella. La volle così fortemente, ma così fermamente che la ottenne, sia pur per poco tempo. Nel giugno del ’94, mentre Silvio Berlusconi era impegnato all’estero, Pinuccio Tatarella, che era il vice premier vicario, lo sostituì a Palazzo Chigi diventando così il primo politico della destra italiana a presiedere il Consiglio dei Ministri. E questo non fu certamente un caso. E oggi, quasi 20 anni dopo, nel tempo in cui è Giorgia Meloni, che come Pinuccio è erede della fiamma tricolore e di Alleanza Nazionale, a presiedere direttamente il Consiglio dei ministri, che cosa le consiglierebbe Tatarella?
Che cosa farebbe oggi Pinuccio? Che cosa suggerirebbe ai suoi continuatori e ai suoi alleati in questo quadro di emergenza bellica e di precarietà energetica, di fermenti anarchici giudiziari e di attacchi concentrici ai valori della tradizione, di spinte federaliste e di aneliti presidenzialisti? Memore delle scosse interne ed esterne che fecero traballare e poi cadere, in pochi mesi, il primo governo Berlusconi, Tatarella punterebbe innanzitutto alla stabilità. Quella stabilità che però non si ottiene solo grazie a un solido sistema elettorale, ma anche e soprattutto quando le forze pur differenti che compongono la coalizione vincente non si dividono per spartirsi fette di potere, ma trovano una convergenza quotidiana nell’orientamento al valore che deve guidare come una bussola il lavoro politico quotidiano.
Non è un caso che sia stato proprio Sergio Mattarella, oggi Presidente della Repubblica, a commemorare per primo Giuseppe Tatarella, dopo la sua morte, giusto ventiquattro anni fa, in una sala di Palazzo San Macuto. Ai loro due nomi sono legati i due sistemi elettorali che, insieme a quello attuale dei comuni, hanno meglio funzionato nella storia della Repubblica: il “Mattarellum”, il sistema prevalentemente maggioritario per la Camera e il Senato del 1993, e il “Tatarellum”, il sistema elettorale delle Regioni del 1995. Oggi, dopo l’affidamento dell’incarico di presidente del Consiglio a Giorgia Meloni, Mattarella ha tenuto a battesimo il primo Governo guidato direttamente dalla destra italiana, diventata primo partito alle elezioni politiche. E’ un governo che, con varie sfumature, è composto da tre anime: quella federalista (Lega), quella riformista e liberal popolare (Forza Italia) e quella conservatrice (Fratelli d’Italia). Tatarella lavorerebbe quotidianamente innanzitutto all’armonia tra queste tre anime politiche, temperando la valorizzazione federalista delle peculiarità dei territori con un presidenzialismo forte, in grado di non compromettere l’unità dei valori comuni e le regioni italiane più penalizzate da un processo di unificazione che nell’Ottocento, le ha letteralmente svuotate di capitali, di infrastrutture e di attenzioni, lasciandole in balia prima del brigantaggio e poi delle mafie.
Nel 94’ Pinuccio, da vicepresidente vicario, si mette in luce per la concretezza, la simpatia, la capacità di trovare una sintesi tra tesi differenti. Il Consiglio dei Ministri da lui guidato quando Berlusconi non c’è, dura pochissimo e tutte le decisioni vengono assunte all’unanimità.
Intanto, in quel tempo, su Berlusconi c’è un fuoco di fila: il pool mani pulite, i sindacati confederali, la sinistra, i poteri economici forti, il sempre più irrequieto alleato Bossi che non è convinto della finanziaria. Tatarella e Gianni Letta, entrambi vocati all’armonia, diventano il pronto soccorso della maggioranza e cercano di ricucire strappi sempre più larghi. Il capolavoro di mediazione segue il siluramento del consiglio d’amministrazione della Rai dei “professori”. Tatarella s’impegna a ricucire uno strappo grave che, su questo problema, si sta consumando tra il Presidente della Repubblica ed il Governo. Dopo 45 minuti di laboriosa tessitura, Tatarella ottiene l’ok di Scalfaro su un emendamento armonico senza del quale i libri contabili della Rai sarebbero finiti in tribunale e un commissario liquidatore sarebbe al posto dei “professori”. Il Presidente della Repubblica parla della “straordinaria ricchezza umana di Tatarella”. I giornali italiani battezzano Pinuccio “ministro dell’armonia”. Le Monde gli dedica un ritratto intitolato: “Tatarella le renard”, la volpe.
Ogni volta che si muove in Transatlantico, nugoli di giornalisti gli sciamano intorno come api davanti al miele. Un giorno una di queste api si avvicina: “On. Tatarella, ce l’ha un consiglio per Berlusconi?”. Tatarella prende tempo. “A lui dico di interpretare, fuori dalla partitocrazia, il motivo per cui gli elettori lo hanno votato. Più interpreterà la gente e meglio sarà per lui”. E’ un consiglio che resta valido anche oggi.
Qualche tempo dopo l’esaurimento dell’esperienza di governo, Tatarella riflette sulle ragioni della debolezza dell’esecutivo del ’94: “Era un’alleanza elettorale, non di governo”. Invece il centrodestra deve diventare vaso di ferro. L’armonia può essere trovata solo trascinando i concetti e l’azione politica verso i veri problemi, i problemi quotidiani della gente, verso il disagio sociale che può diventare speranza. E questo valeva nel ’94 come vale oggi. L’attenzione al disagio sociale e l’anelito naturale verso una risoluzione armoniosa dei conflitti, avrebbe spinto oggi Tatarella, sempre in un quadro di fedeltà all’Alleanza Atlantica, a non lasciare l’intero spazio politico alle armi, a recuperare invece lo spirito di negoziato che spinse l’Italia per prima e da sola ad avvicinare la Russia e gli Usa a Pratica di Mare, convinto che la guerra non è mai la soluzione.
E tutto questo perché la gente va ascoltata e la gente la guerra non la vuole. Tutto questo, ancora, per il rispetto assoluto della vita degli Ucraini e dei Russi e della vita in generale. La vita. Non è un caso che le fazioni politiche internazionali che vedono le armi sempre più sofisticate come l’unica soluzione per i conflitti in corso sono le stesse che non appena vanno al potere allargano come primo atto politico i confini del ricorso all’aborto. Nelle ultime proposte di legge che presentò alla Camera prima di morire, Tatarella fece il contrario e dedicò invece grande attenzione alla difesa della vita e alla prevenzione dell’aborto. Volle dare la sua parola ai più fragili, agli embrioni, a quei bimbi che non sono ancora venuti alla luce e che non possono ancora parlare, non possono ancora difendersi da soli. In Aula, in televisione e nelle piazze, Pinuccio avrebbe lanciato nella politica l’offensiva della vita, della cultura della vita contro l’incultura della morte, che si arrende all’aborto, all’eutanasia ed al molteplice innaturale e multiforme masochismo diffuso. Però lo avrebbe fatto non con il senso di superiorità distante di chi giudica, ma sempre con l’anima in mano, con l’empatia coraggiosa delle sferzate di cuore, che non vogliono annichilire il “nemico”, ma scuotere la coscienza incrostata di chi si è arreso al pensiero debole che ha perso di vista la speranza.