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Così ho scoperto la tragedia delle foibe. Il Ricordo negli occhi del gen. Rossi

Di Euro Rossi

Il generale Euro Rossi, già capo Ufficio Storico dell’Aeronautica Militare, fu nominato membro della commissione che deve esaminare le domande per la concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati. “Un’esperienza che ha lasciato in me un profondo turbamento fatto di rabbia, sdegno e anche di colpa per aver sottovalutato in precedenza la terribile esperienza vissuta dagli esuli”

“Illustre e caro Colonnello, mi è gradito informarLa che Ella con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 10 febbraio 2005, è stata designata componente della Commissione incaricata dell’esame delle domande per la concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati…”, firmato il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Così sono stato avvisato il primo aprile del 2004 di un nuovo incarico che mi avrebbe proiettato in una realtà di cui ero superficialmente a conoscenza, così come era ancor meno conosciuta alla gran parte degli italiani, perché relegata in un angolo della nostra storia nazionale per via di una guerra persa e per le solite divisioni interpretative di essa.

La realtà a cui faccio riferimento è quella del dramma delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, del nostro confine orientale. Realtà che è stata portata alla ribalta con la Legge 30 marzo 2004 n. 92; una apposita legge grazie alla quale si infrangeva il muro di omertà creato ad arte perché parlare degli accadimenti nei territori perduti significava imbrattare la memoria del mito della Resistenza, un mito che ben si sa è ben lungi dall’essere come ce lo hanno descritto.

Con tale legge è stato istituito il “Giorno del ricordo” per commemorare la tragedia che subirono i nostri connazionali che vivevano da generazioni e generazioni nei territori dell’Istria e della Dalmazia, territori che a fine secondo conflitto mondiale entrarono a far parte della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. La Jugoslavia, sostenuta dall’Unione Sovietica e dallo stesso Partito Comunista Italiano, riuscì ad ottenere quasi tutti i territori da essa pretesi, a parte Gorizia e Trieste. Quest’ultima città, dopo un lungo contenzioso diplomatico, tornò all’Italia nel 1954 con il Memorandum di Londra.

Una legge che fu votata l’11 febbraio per ricordare la pulizia etnica per mano comunista operata ai danni dei nostri connazionali. È bene ricordare che i voti contrari furono solo 15 e il giorno scelto fu il 10 febbraio che coincide con la stipula del Trattato di pace di Parigi avvenuto nel 1947.

Veniva finalmente riconosciuto il dramma che si stima causò la morte nelle foibe, nei campi di concentramento iugoslavi e in mare di circa 8-10.000 persone di ogni età, sesso e grado sociale, solo perché rei di essere italiani.

Le conseguenze sulla popolazione locale italiana furono infatti pesantissime. Il clima di terrore creato a seguito della politica di epurazione jugoslava provocò in pochi anni un esodo di oltre 300.000 profughi che preferirono lasciare i loro beni e la loro terra non solo per paura della morte ma anche per rimanere italiani.  Sfumava in un breve lasso temporale la millenaria italianità di quei luoghi.

Questa comunicazione a me indirizzata scaturiva dall’applicazione dell’articolo 5 comma 1 e 2 dell’anzidetta legge 92 che, oltre alla istituzione del giorno del ricordo, prevedeva la costituzione dell’anzidetta commissione composta da dieci membri presieduti dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da persona da lui delegata.

La sua composizione prevedeva i capi servizio degli uffici storici degli stati maggiori dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica e dell’Arma dei Carabinieri, due rappresentanti del comitato per le onoranze ai caduti delle foibe, un esperto designato dall’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata di Trieste, un esperto designato dalla Federazione delle associazioni degli esuli dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, nonché un funzionario del Ministero dell’Interno.

Io partecipavo in qualità di Capo Ufficio Storico dell’Aeronautica Militare.

Compito della commissione fu, in primis, quello di determinare le caratteristiche e la realizzazione dell’insegna metallica in acciaio brunito e smalto, ovvero la medaglia, il suo nastrino, la rosetta, l’astuccio, i relativi colori ed il diploma a firma del Presidente della Repubblica.

Sulla medaglia la scritta “La Repubblica italiana ricorda” mentre il nastro, su proposta della commissione, sarà di due colori: rosso a simboleggiare il sacrificio e grigio cangiante a ricordare l’ambiente carsico divisi da un sottile palo tricolore per l’ovvia connotazione patriottica.

In merito al diploma, la commissione scelse un modello risalente all’inizio del ‘900 e caratterizzato da una cornice vegetale di alloro a sfumatura color seppia intorno alla quale corre un nastro con i nomi delle città indicate come “martiri”: Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Zara.

Ecco la dicitura indicata per il testo: “Il Presidente della Repubblica, vista la legge 30 marzo 2004 n.92, istitutiva del giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale, in riconoscimento del sacrificio alla Patria da (nome della vittima) conferisce la medaglia commemorativa al (coniuge, figlio, nipote, fratello, sorella, congiunto e nome del richiedente).

Materiale che sarebbe stato consegnato ai congiunti ed affini fino al sesto grado degli infoibati e agli assimilati, ovvero a quanti nello stesso periodo e nelle stesse zone, sono stati soppressi per annegamento, fucilazione, massacro, attentato in qualsiasi modo perpetrati.

A seguire iniziammo a valutare le istanze che pervenivano e scegliemmo venti di esse tra quelle più rappresentative dei tragici eventi analizzati al fine di redigere una lista di 20 nominativi a cui il Presidente della Repubblica avrebbe consegnato personalmente medaglia e diploma, in apposita cerimonia al Quirinale. Le altre venivano inviate agli intestatari delle istanze accolte.

Le istanze, infatti, venivano suddivise in tre gruppi: quelle accolte, le rinviate per supplemento di istruttoria e quelle respinte.

La lettura e l’analisi di quelle istanze mi aprì ad un mondo misconosciuto, quello delle efferate atrocità perpetrate dai partigiani titini. Non entro nel merito, mi risulta ancora doloroso, comunque per chi non crede o volesse approfondire basta chiedere l’accesso agli atti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Ho lasciato l’incarico al termine del mio servizio di Capo Ufficio Storico dell’AM ma la commissione è ancora in essere e mi risulta che ad oggi abbia accettato 1100 istanze di aventi diritto. Sono le istanze di coloro che hanno vinto la giustificata e comprensibile reticenza a rendere noto il dramma vissuto da un proprio congiunto, altri hanno preferito, con pudico riserbo, tenere per se il proprio dolore.

Fu quella di membro della commissione un’esperienza che ha lasciato in me un profondo turbamento fatto di rabbia, sdegno e anche di colpa per aver sottovalutato in precedenza la terribile esperienza vissuta dagli esuli e soprattutto per come essi sono stati trattati da una parte consistente dei connazionali. Qualcuno di loro, purtroppo, ha ancora la sfacciataggine di negare.


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