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C’è un nuovo modello di presa in cura delle fragilità

Fondazione Roche e Cooperativa La Meridiana hanno dato vita all’evento “La presa in cura delle fragilità. Malattie neurodegenerative e demenze: impatto sociale e sanitario”, organizzato a Monza in un luogo simbolo dell’innovazione dei percorsi assistenziali: il Paese Ritrovato

Il paese invecchia e accendere un faro sul percorso terapeutico-assistenziale offerto alle persone con patologie neurodegenerative correlate all’età rappresenta un’urgenza che presuppone la revisione dei modelli di cura, spesso incapaci di integrare al fattore clinico quello umano e sociale. Con questo obiettivo, Fondazione Roche insieme alla Cooperativa La Meridiana hanno dato vita all’evento “La presa in cura delle fragilità. Malattie neurodegenerative e demenze: impatto sociale e sanitario”, organizzato a Monza in un luogo simbolo dell’innovazione in materia: il Paese Ritrovato.

Se in Italia la gestione di persone affette da Alzheimer è ancora acerba e raffazzonata, quando non ricade solo sulle famiglie dei pazienti, a Monza il Paese Ritrovato sta scrivendo una nuova pagina della storia, fatta di uomini e donne che oltre la malattia tornano ad essere parte di una comunità. Una cittadina vera e propria, costruita nel 2018 all’interno del perimetro di un piccolo borgo che rappresenta il luogo dove i pazienti vivono in appartamenti protetti e al contempo possono muoversi in modo autonomo tra le vie, le piazze, i negozi, il bar, il cinema e l’orto, così da condurre una vita normale, compatibilmente con la loro malattia. Tutto grazie alle donazioni e all’impegno di alcune famiglie monzesi, oltre che all’aiuto di cittadini, imprese, enti, associazioni e istituzioni.

Impatto sociale e sanitario

I lavori, moderati dal giornalista Michele Farina, sono stati introdotti dal Ministro per le Disabilità, Alessandra Locatelli, che ha ringraziato Fondazione Roche e Cooperativa La Meridiana per l’impegno profuso, sottolineando come sia fondamentale “mettere la persona al centro di tutte le azioni e i servizi, in modo da garantire percorsi mirati e una vita autonoma e indipendente – così da preservare l’unicità – della persona stessa che non ha bisogno in modo alternativo di cura e assistenza in alcuni giorni, e di affetto, attività ricreative e relazioni in altri momenti”. Dopo i saluti introduttivi di Roberto Mauri, Presidente della Cooperativa La Meridiana è stata la volta di Francesco Frattini, Segretario generale di Fondazione Roche, che ha letto il messaggio della Presidente della fondazione Mariapia Garavaglia, secondo cui le Missioni 5 e 6 del PNRR hanno creato aspettative per certi versi illusorie: “Molti finanziamenti riguardano le strutture invece che l’organizzazione dei servizi innovativi”.

Un dato che lascia emergere l’assenza di servizi per la malattia di Alzheimer, sebbene le statistiche indichino quale dovrà essere la presa in carico e la presa in cura, che non richiede solo un’adeguata preparazione professionale, ma anche: “Una proposta qualificata di atteggiamenti psicologici verso le persone fragili: dolcezza, attenzione, pazienza. In altre parole, quello che la Cooperativa Meridiana mette ogni giorno a disposizione dei suoi ospiti – attraverso le scelte terapeutiche – che possono restituire ai pazienti la pienezza della dignità che appartiene ad ogni essere umano, anche nella sofferenza più profonda”.

A farle eco il cardinal Gianfranco Ravasi, che ha scelto dal titolo della manifestazione la parola cura, per ricordarne il significato in latino: affannarsi, essere travolti da una esperienza che ti tormenta. “L’essere coinvolti profondamente è ciò che voi volete fare attraverso questo vostro particolare impegno nel quale non basta soltanto curare ma bisogna anche preoccuparsi. Essere perciò non soltanto affidati a questioni di tipo medico e terapeutico attraverso le vie farmacologiche, ma anche coinvolgere la dimensione antropologica, etica e affettiva”.

Lorenzo Mantovani, direttore del Centro dipartimentale di Studio sulla Sanità pubblica dell’Università Bicocca di Milano, ha osservato che siamo all’interno di una transizione epidemiologica. “Qualunque sia la dimensione del problema oggi, nei prossimi 20 anni sarà una volta e mezzo più grande perché con Alzheimer e altre demenze vascolari c’è un’epidemiologia crescente in relazione all’età”. Stando alle parole del professor Mantovani, il serbatoio da cui emergono questi eventi è quello degli over 65, che rappresentano oggi il 23% della nostra popolazione e che puntano ad essere il 34% nei prossimi anni. D’altra parte, secondo il Global Burden of Disease, l’Italia e il Giappone sono le popolazioni più longeve del mondo: una storia di successo che, però, può creare tensioni dal punto di vista sociale e sanitario. In questo senso pesano le differenze del SSN e le possibilità dei caregiver, dato che oltre una certa soglia esistono pochissime terapie e il costo sociale viene proiettato direttamente sulle famiglie. Per Mantovani una via d’uscita è quella della ricerca, che vede impegnata Roche come azienda finanziatrice di una borsa di dottorato per condurre uno studio sulla malattia di Alzheimer e su altre malattie neurodegenerative. L’altra, invece, è che esempi come quello del Paese Ritrovato possano nascere altrove, anche per combattere i grandi player finanziari interessati solo a fare business sulla pelle degli anziani.

Il Paese Ritrovato

Ad analizzare la correlazione tra fattore umano, clinico e sociale nell’esperienza del villaggio monzese, ci hanno pensato Marco Fumagalli, Coordinatore del Servizio Educativo di Meridiana e Mariella Zanetti, Geriatra del Paese Ritrovato. Insieme hanno spiegato come il progetto intenda superare il modello tradizionale con cui le persone con demenza vengono curate al fine di mettere al centro la persona, superando gli ostacoli che non le permettono di essere coinvolta nella vita quotidiana, restituendo loro la possibilità di una scelta e di potersi autodeterminare. Ha chiuso l’evento Egidio Riva, Assessore Welfare e Salute del Comune di Monza, che ci ha tenuto ad evidenziare come il Paese Ritrovato sia una esperienza da studiare, in quanto mostra come abbinare al necessario trattamento farmacologico un programma di terapie fondamentali per preservare l’autonomia delle persone curate e dunque di migliorarne la qualità della vita, anche a beneficio delle famiglie coinvolte.



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