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L’illusione della fusione nucleare nei programmi di ricerca. Scrive E. Mazzucato

Di Ernesto Mazzucato
Fusione nucleare

Si è tornati a parlare di fusione nucleare, ma il dibattito è ancora sganciato da certe realtà. L’analisi di Ernesto Mazzucato, Fellow dell’American Physical Society

La nostra principale fonte di energia viene dall’uso di combustibili fossili, creati nel corso di milioni di anni dalla decomposizione di piante e materiali organici. Oggi questa energia viene utilizzata principalmente per generare l’energia cinetica dei nostri mezzi di trasporto o l’energia elettrica che utilizziamo per una grande varietà di applicazioni. Ciò causa un grande accumulo di gas serra nell’atmosfera, che alla fine causerà un aumento della temperatura terrestre con gravi conseguenze per ogni ecosistema e organismo vivente, compreso il nostro. Per evitare questo disastro, dobbiamo sostituire drasticamente l’uso dei combustibili fossili con un’altra forma di energia pulita. Purtroppo, di questa non ne abbiamo a sufficienza poiché 84% dell’energia mondiale deriva ancora da combustibili fossili.

Una fonte alternativa di energia pulita è la fusione nucleare, l’energia che alimenta il Sole e altre stelle. In una reazione di fusione, due nuclei si fondono per formare nuclei più leggeri, con la differenza di massa che diventa energia, il che richiede il riscaldamento dei due gas reagenti a centinaia di milioni di gradi. Questo, che sembra essere un problema formidabile, non è ciò che finora ha impedito lo sviluppo dei reattori a fusione. La difficoltà maggiore è stata invece il contenimento dei gas reagenti (il plasma), che è compromesso da una serie di processi turbolenti. Dopo oltre sessant’anni di ricerca sappiamo come controllare questi fenomeni turbolenti. Purtroppo, altri problemi più difficili hanno finora impedito l’uso dell’energia dalla fusione nucleare.

L’International Thermonuclear Experimental Reactor (Iter) è attualmente il più grande progetto dedicato allo studio della fattibilità scientifica e tecnologica dei reattori a fusione. La sua origine si può far risalire a un incontro tra Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov al vertice di Ginevra del 1985 quando, per dimostrare che la guerra fredda stava finendo, decisero di unire le forze nella costruzione di un reattore a fusione. Poco dopo, l’Unione europea, il Giappone, la Cina, l’India e la Corea del Sud si unirono al gruppo dando a Iter uno straordinario sostegno politico e finanziario. Si decise quindi di costruire il reattore in Francia con un costo totale diviso in due parti uguali, di cui una a carico dell’Unione europea e il resto equamente diviso tra gli altri sei partner. La costruzione cominciò nel 2007 con inizio del’uso di combustibili nucleari ora previste per il 2035.

La potenza totale di fusione di Iter è di 500 megawatt, con una potenza di ingresso di 50 MW. Pertanto, Iter viene pubblicizzato come avente un guadagno di energia di 10. Questa è in effetti una delle tante dichiarazioni fuorvianti su Iter, poiché il rapporto cruciale è quello tra l’energia elettrica che Iter potrebbe produrre utilizzando i suoi 500 MW di fusione e l’energia elettrica necessaria per il suo funzionamento. Ma poiché utilizzando standard generatori elettrici a turbina, non potrebbe ottenere più di 200 MW di energia elettrica dalla sua energia di fusione, mentre quella necessaria per il suo funzionamento sarà parecchie volte superiore ai 50 MW di potenza in ingresso, il guadagno di energia elettrica di sarà sicuramente inferiore a uno!

Inoltre, Iter presenta altri problemi estremamente gravi, derivanti dal tipo di reazioni di fusione che intende utilizzare, quelle tra i due isotopi di idrogeno deuterio (D) e trizio (T), che sono stati scelti per la loro alta reazione di fusione. Purtroppo, questo comporta due problemi molto seri. Il primo è che l’80% dell’energia di fusione sarà trasportata da neutroni che sono dieci volte più energetici di quelli dei reattori a fissione e sono anche quattro volte più numerosi per unità di potenza. Questi neutroni causeranno gravi danni alle strutture interne del reattore, spostando gli atomi dalla loro posizione reticolare e producendo rigonfiamenti e fratture. Di conseguenza, questi componenti del reattore dovranno essere sostituiti ogni pochi anni e smaltiti come rifiuti con un alto grado di radioattività. Pertanto, la potenza di un reattore D-T sarà ben lungi dall’essere pulita, come viene pubblicizzato.

Il secondo problema è che, mentre possiamo ottenere tutto il deuterio di cui abbiamo bisogno dall’acqua di mare, il trizio presente in natura è estremamente raro sulla terra. Può essere prodotto utilizzando i reattori a fissione del tipo Candu, come il trizio usato per le armi nucleari. Tuttavia, poiché si tratta di una procedura molto costosa e l’attuale flotta di reattori Candu è destinata a esaurirsi nei prossimi decenni, l’opzione naturale è la produzione in situ del trizio mediante l’assorbimento dei neutroni in uno strato di litio-6 (un isotopo del litio) avvolto intorno al plasma, producendo un atomo di elio e uno di trizio per ogni neutrone assorbito. Si tratta di un processo estremamente complesso, che deve produrre non solo il trizio necessario per il funzionamento del reattore stesso, ma anche generare una riserva di trizio per l’avvio iniziale di altri reattori. Inoltre, deve essere fatto gestendo la sicurezza e il rischio biologico del trizio.

Poiché un test sperimentale di un processo così complesso non era mai stato fatto, Iter sarebbe stato il luogo perfetto per farlo, come previsto nel suo programma iniziale. Purtroppo, questo fu ben presto abbandonato quando il costo di Iter iniziò ad esplodere, passando da 6 a più di 25 miliardi di dollari. Il test fu quindi rinviato a vari progetti da costruire dopo il completamento di Iter. Di conseguenza, ora abbiamo un progetto multimiliardario che dovrebbe studiare la fattibilità dei reattori a fusione D-T, ma non è previsto che venga studiato uno dei suoi requisiti più cruciali: l’autosufficienza di combustibile! Tutto ciò che abbiamo sulla fattibilità della produzione in situ del trizio sono i risultati di diverse simulazioni numeriche che se analizzate in modo approfondito, come in una rassegna di quasi duecento articoli pubblicata di recente, indicano che lo stato attuale della fisica e della tecnologia non consentirà a un reattore a fusione D-T di essere autosufficiente per il trizio e inoltre biologicamente sicuro.

In conclusione, non sapremo prima della fine di questo secolo se sarà possibile sostituire l’energia dei combustibili fossili con quella dei reattori a fusione D-T. Quindi, pensare di usare reattori del tipo Iter per fermare il cambiamento climatico sarebbe un errore mortale, poiché abbiamo seri dubbi sulla loro capacità di farlo e, in ogni caso, sarà troppo tardi. Ciò di cui abbiamo bisogno è sviluppare al più presto nuovi tipi di reattori.

Alla luce di tutto ciò, non è possibile credere che una svolta nella tecnologia della fusione nucleare sia imminente. Tuttavia, è proprio quello che promette una pletora di nuovi progetti alla condizione di ricevere un sufficiente sostegno finanziario. E certo, il sostegno è arrivato grazie alla credulità dei media che annunciano ai loro lettori l’arrivo del Messia che li libererà dalla schiavitù del cambiamento climatico. Un caso emblematico è quello della Commonwealth Fusion Systems (Cfs), che grazie al prestigio derivante dal sostegno del Mit è riuscita a raccogliere più di 1,8 miliardi di dollari da molti grandi investitori, come il co-fondatore di Microsoft Bill Gates, George Soros e la multinazionale italiana del gas e petrolio Eni. Il fatto che Cfs utilizzerà il ciclo deuterio-trizio senza sapere dove trovare il trizio è totalmente ignorato.

Un altro caso che dimostra lo stato pietoso di queste nuove startup della fusione, e la dinamica della “bolla” finanziaria che le circonda, è quello della società Helion Energy, che ha recentemente raccolto 2,2 miliardi di dollari con la promessa di un reattore funzionante nel 2024, nonostante avesse già promesso “un reattore in tre anni” nel 2015, quando aveva raccolto solo 10 milioni di dollari. Come nel caso di Iter, tutte queste proposte confondono l’energia della fusione con l’energia elettrica e ignorano completamente il rapporto tra l’energia elettrica che puo’ essere prodotta e quella necessaria per il funzionamento del reattore stesso. In realtà, quando il guadagno energetico di queste proposte è espresso in termini di energia elettrica, il loro ruolo nella lotta contro l’uso dei combustibili fossili diventa insignificante.

Infine, l’ultimo ingresso nella corsa all’energia pulita è la National Ignition Facility (Nif) del Lawrence Livermore National Laboratory. Utilizzando il joule come misura dell’energia – dove un joule è l’energia che un dispositivo della potenza di un watt eroga al secondo – il Nif ha recentemente prodotto 3,15 megajoule (MJ) di energia da fusione concentrando 2,05 MJ di luce laser su una piccola capsula di deuterio e trizio solido. A causa di questo guadagno di energia – mai raggiunto prima in nessun esperimento di fusione – il Nif è stato dichiarato una pietra miliare nella corsa allo sviluppo di reattori a fusione. Tuttavia, è difficile accettare una tale connotazione del Nif, poiché il suo sistema laser consumava circa 400 MJ di energia elettrica, mentre i 3,15 MJ di energia di fusione potrebbe generare al massimo 1 MJ di elettricità. Quindi, come inizialmente previsto dalla National Nuclear Security Administration (Nnsa), Nif deve essere considerato non il prototipo di un reattore a fusione, ma solo uno strumento per lo studio delle armi atomiche per migliorarne la capacità di distruzione, senza il bisogno di fare esperimenti sottomarini o sotterranei che sono vietati dal trattato sulla messa al bando di esperimenti nucleari.

Dopo una descrizione così cupa delle attuali attività sulla fusione, è inevitabile chiedersi se la fusione nucleare sia un’opzione per fermare il riscaldamento globale. Fortunatamente, la risposta è positiva, poiché abbiamo un’altra opzione – la fusione di deuterio ed elio-3 (un isotopo dell’elio) – che è quasi priva di neutroni quando la densità dell’elio-3 supera quella del deuterio di un fattore due. La difficoltà principale è ancora una volta l’estrema scarsità di uno dei componenti della fusione, l’elio-3, che sulla Terra è presente solo come decadimento del trizio usato per le armi atomiche o nei pozzi di gas naturale, in una quantità che potrebbe essere sufficiente solo per lo studio dei primi prototipi di reattore. Tuttavia, i campioni di suolo lunare riportati dagli astronauti della missione Apollo hanno mostrato la presenza di un’enorme quantità di elio-3, portato sulla Luna dal vento solare per miliardi di anni. Di conseguenza, è stata stimata la presenza di circa un milione di tonnellate di elio-3 a pochi metri di profondità della superficie lunare. Come estrarlo e trasportarlo sulla Terra è stato descritto in molte pubblicazioni, tra cui un libro di Harrison H. Schmitt, che è stato l’ultimo uomo a camminare sulla Luna e il primo e unico scienziato a farlo.

Indubbiamente, l’estrazione dell’elio-3 sarà un’impresa molto costosa, ma il guadagno sarà astronomico a causa dell’enorme quantità di energia che potremmo ottenere utilizzando l’elio-3 nei reattori a fusione, come ha recentemente affermato lo scienziato capo del programma cinese di esplorazione lunare (Clep), secondo cui un programma industriale a lungo termine per l’estrazione dell’elio-3 dalla Luna è economicamente giustificato perché “la Luna è così ricca di elio-3 che potrebbe risolvere la domanda di energia dell’umanità per almeno 10.000 anni”. Purtroppo, questo messaggio non è arrivato al Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, che invece di iniziare una nuova Apollo Mission, ha in programma di donare quasi 4 miliardi di dollari alla costruzione di Iter.

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