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Autonomia, i rischi per la sanità secondo Gelmini

Di Gianluca Zapponini e Federico Di Bisceglie

Intervista al vice segretario di Azione, già ministro con Forza Italia. Che si dice da sempre favorevole alla ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, ma finire in ostaggio degli opposti estremismi rischia di compromettere un sistema già provato dalla pandemia. “Molto meglio mettere mano alla riforma del Titolo V”

Per immaginare una nuova idea di autonomia in Italia serve il giusto equilibrio, senza fare troppi scherzi sulla pelle di un sistema, quello sanitario, che per l’Italia e i suoi residenti rappresenta una certezza. Non sono passati nemmeno dieci giorni dal disco verde del Consiglio dei ministri al disegno di legge sull’autonomia differenziata, noto anche come ddl Calderoli, il provvedimento quadro entro cui potranno essere concesse maggiori autonomie (anche sulla sanità) alle Regioni e che nei fatti rispolvera e accelera un grande classico della Lega, la devolution.

Mariastella Gelmini, oggi vicesegretario e portavoce di Azione, nonché vice presidente del gruppo Azione-Italia Viva al Senato, con il centrodestra (Carroccio incluso) ha governato a lungo, in veste di ministro dell’Istruzione (2008-2011, governo Berlusconi IV), quando era una delle prime linee di Forza Italia. E oggi racconta a Formiche.net i piccoli grandi mali oscuri della nuova spinta autonomista intrapresa dall’esecutivo di Giorgia Meloni, su pressing, ovviamente, leghista.

Più volte si è vista in questi anni, anche prima della pandemia, una sanità troppo frammentata, venti regioni e venti sanità diverse, con tutti i guai di bilancio annessi. Non crede che la direzione intrapresa del governo possa aggravare questa situazione?

Con le sue scelte, e mi riferisco alla legge di Bilancio, prima ancora che al ddl Calderoli sull’autonomia, il governo ha già contribuito ad aggravare la situazione della sanità pubblica. La maggioranza pare non avere alcuna consapevolezza della drammaticità della situazione: durante il Covid sono saltate 100 milioni di visite, ci vogliono due anni per una mammografia, un anno per una tac e, secondo l’Istat, nel 2021 oltre 5 milioni di italiani hanno rinunciato alle cure. Mancano oltre 60 mila infermieri e nei prossimi anni andranno in pensione qualcosa come 50 mila medici.

La prospettiva è complessa.

Nella legge di Bilancio l’esecutivo ha incrementato il fondo sanitario di solo 2 miliardi, che bastano a malapena a fronteggiare il caro energia. Con i nostri emendamenti avevamo proposto di triplicare quella cifra. Le stesse regioni a gennaio hanno chiesto al governo un incontro urgente perché, dicono, il sottofinanziamento della sanità rischia di avere conseguenze catastrofiche.

Tutto chiaro. Ma ora, con il disegno di legge Calderoli sull’autonomia, quali rischi ulteriori corre il sistema sanitario nazionale?

L’autonomia differenziata è prevista dalla Costituzione: noi siamo favorevoli a condizione che sia fatta bene. Non è pensabile assegnare ad una regione tutte le 23 materie previste teoricamente dal Titolo V. Per questo come Azione – Italia Viva sosteniamo che è giunto il momento di correggere alcune storture di quella riforma del 2001 che ampliava a dismisura la possibile competenza esclusiva delle Regioni. Lo stesso centrodestra nel 2005 con la riforma della devolution riportava allo Stato alcune materie.

Ma…?

Detto questo sulla sanità vanno evitati gli opposti estremismi: non avrebbe senso ricentralizzarla e neppure lasciarne tutta la gestione alle singole regioni. Lo Stato deve continuare ad assicurare, possibilmente in modo effettivo, i livelli essenziali di assistenza (Lea, ndr) affinché non esistano cittadini di serie A e di serie B.

Lei ha più volte messo in relazione la buona riuscita del Pnrr con l’autonomia. Quale però il giusto mix tra coordinamento centrale e periferico?

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha lo specifico obiettivo di ridurre i divari territoriali e una parte degli investimenti è specificatamente destinata al Mezzogiorno. L’autonomia può realizzarsi nella misura in cui saremo capaci, con il Pnrr ma anche con gli altri fondi europei, di diminuire il gap fra le varie aree del Paese e di disegnare un sistema che assicuri i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti sociali e civili, a tutti gli italiani. Dopodiché per realizzare quel giusto mix tra centro e periferia dobbiamo farci guidare dal principio di sussidiarietà, fermo restando che certe materie, come l’istruzione o l’energia, devono restare in capo allo Stato.

Così come impostata l’autonomia a trazione Lega, è evidente che il beneficio maggiore lo trarrebbero le regioni del Nord. Non si corre, dunque, il rischio che il governo, volendo per l’appunto accontentare la Lega, perda terreno al Sud?

Nella maggioranza, sull’autonomia, ci saranno tensioni fortissime. La stessa progressione delle varie bozze del disegno di legge Calderoli sta lì a dimostrare che le resistenze all’autonomia sono nel governo. Con la manovra finanziaria si sono presi un anno di tempo per individuare le materie Lep e determinare i fabbisogni standard. Fino ad allora non accadrà nulla: per questo sosteniamo che l’approvazione in fretta e furia del ddl Calderoli è stato solo un contentino elettorale alla Lega, perché di intese con le regioni se ne riparla a partire dalla seconda metà della legislatura. Ammesso che si arrivi mai alle intese. È per questo che noi diciamo: scusate, visto che il tempo c’è, non è meglio provare a risolvere i nodi fondamentali, riscrivendo il titolo V? Perché se ci sono ministri che parlano di gabbie salariali per gli insegnanti, capite bene che solo intervenendo in Costituzione potremo rassicurare i cittadini del Mezzogiorno che l’autonomia non spaccherà il Paese.

Nella logica della semplificazione, secondo lei questa riforma non potrebbe avere un impatto positivo evitando, nelle catene decisionali, passaggi e strozzature centralizzati e attribuendo più potere decisionale alle istituzioni di prossimità?

È esattamente questo che dovrebbe essere il cuore del progetto. È drammaticamente sbagliato porre la questione come una gara all’accaparramento delle risorse da parte delle regioni più avvantaggiate. L’autonomia è prima di tutto, nella mia visione, una gara per l’efficienza e per l’accountability. Non un derby fra nord e sud. Ma allora dobbiamo togliere di mezzo gli equivoci e l’unico modo per farlo è definire e finanziare i Lep e modificare la Costituzione. Per un governo che si è dato l’orizzonte di legislatura non dovrebbero esserci problemi.


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