Il conflitto tra Russia e Ucraina, l’invio di armi, ma anche altri punti caldi del mondo dove proteste e scontri alimentano instabilità. Analisi e prospettive secondo lo storico militare Gastone Breccia
Viviamo una fase storica in cui gli esperti di politica internazionale aiutano a comprendere un presente sempre più minaccioso. Il cosiddetto “Orologio dell’Apocalisse” (Doomsday Clock) del “Bullettin of the Atomic Scientists” continua a segnare sempre meno secondi per l’umanità. Il dato migliore in assoluto è stato registrato nel 1991, quando è terminata la Guerra Fredda ed è crollata l’Unione Sovietica (17 minuti all’Apocalisse). Ne abbiamo parlato con lo storico militare Gastone Breccia.
Secondo il Doomsday Clock oggi, nel gennaio 2023, l’umanità avrebbe a disposizione solo 90 secondi prima di giungere al punto di non ritorno verso la propria fine. Ciò che preoccupa è la minaccia nucleare, a causa della guerra in Ucraina, oltre al cambiamento climatico in corso. Che ne pensa?
Il Doomsday Clock è una suggestiva, e per molti aspetti lodevole provocazione, che serve a mantenere vigili le coscienze dei governanti e delle opinioni pubbliche, ma ha valore limitato dal punto di vista della valutazione dei rischi militari. La Mad (Mutually Assured Destruction, la «distruzione reciproca assicurata») ha funzionato molto bene durante la Guerra Fredda, ad esempio: i rischi di «Apocalisse» sono quindi aumentati, non diminuiti, dopo il 1991, e tutti gli analisti concordano sul fatto che siano legati alla proliferazione nucleare (eventuale) e, soprattutto, alla possibilità che organizzazioni terroristiche o Stati-canaglia si possano procurare armi di distruzione di massa, non allo scontro tra grandi potenze. Detto questo, è evidente che se la situazione sul campo dovesse mutare improvvisamente, con un (improbabile) tracollo delle forze russe, si potrebbe verificare il disperato ricorso ad armi nucleari tattiche da parte di Mosca. Ma è un’ipotesi remota.
Dal 1989 al 1991 abbiamo assistito al crollo del Muro di Berlino, alla disintegrazione del Patto di Varsavia, all’unificazione della Germania e alla disgregazione dell’Unione Sovietica. Allora si pensò che la “Storia fosse finita”, come teorizzato dal noto saggio di Francis Fukuyama. Cosa è accaduto dopo e perché siamo tornati nell’incertezza geopolitica di oggi?
L’idea che la storia potesse finire era sbagliata in partenza. In più gli Stati Uniti, nel momento in cui si sono trovati sola potenza «globale», non hanno saputo interpretare il loro ruolo in maniera efficace. La crisi in Somalia del 1993 è stata la clamorosa prova dell’incapacità della leadership di Washington di assumersi il compito (gravoso, senza dubbio, e politicamente controverso) di global policeman: l’opinione pubblica statunitense non voleva veder tornare a casa i propri ragazzi avvolti nella bandiera a stelle e strisce caduti in operazioni di cui non comprendeva né la necessità né i fini, condotte in paesi di cui a malapena l’americano medio conosceva il nome. L’anno successivo (1994) il genocidio in Rwanda ha confermato l’incapacità delle Nazioni Unite di gestire crisi anche di portata limitata. Se si considera quindi l’irrilevanza dell’Onu, la dissoluzione dell’equilibrio tra i blocchi e l’incapacità (o la mancanza di volontà) da parte degli Stati Uniti di farsi garanti della sicurezza comune, il risultato non poteva che essere una nuova, terribile epoca di disordine globale.
In Ucraina, all’inizio del conflitto in molti abbiamo sbagliato previsione. Cosa abbiamo imparato?
Abbiamo imparato che la storia non è guidata soltanto dalla razionalità. Abbiamo sbagliato previsioni, io per primo, perché sembrava assurdo che Putin scatenasse una guerra quando già controllava la Crimea (e nessuno si sognava di togliergliela) e buona parte del Donbass, che negli anni sarebbe diventato una provincia autonoma sotto tutela russa senza altro grave spargimento di sangue. Anche l’ingresso dell’Ucraina nella Nato era di fatto congelato sine die dalla situazione di conflitto all’interno dei confini nazionali Sarebbe stato logico continuare a godere dei vantaggi acquisiti dal 2014, e magari conquistarne altri attraverso un misto di minacce e aperture, di pressioni economiche e dialogo con Kiev e con l’Occidente. Putin si era sempre dimostrato abilissimo, anche in Siria, nel trarre il massimo vantaggio da una situazione difficile correndo rischi minimi. Ma, come dicevo, la storia non è solo razionalità. Putin si è lasciato convincere dalla proprie ambizioni neo-imperiali, e dall’illusione di una pretesa debolezza dell’Occidente. E ha commesso un errore tragico.
Durante i primi mesi di guerra le tendenze a polarizzare le posizioni in campo sono state molteplici, com’è la situazione oggi?
Direi che non c’è mai stata alcuna vera apertura. Anzi: dopo il 30 settembre 2022, con l’annessione illegale dei quattro oblast’ di Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk e Luhansk (che tra l’altro controlla solo in parte), la Russia ha di fatto alzato un grosso ostacolo sulla via che dovrebbe portare alla pace. Anche a Kiev, specularmente, sono state prese posizioni «massimaliste» (sulla volontà di riconquistare anche la Crimea, ad esempio, o di trascinare Putin di fronte a un tribunale internazionale) che, a prescindere dalla loro fondatezza, non rendono certo più facile il dialogo tra le parti.
Un altro argomento spinoso è stato, per mesi, quello del coinvolgimento Nato e Usa. Secondo te, si stava meglio durante la Guerra Fredda?
Come detto a proposito della Mad, la Guerra Fredda è stata sostanzialmente una lunga fase di equilibrio tra i blocchi, con le due grandi potenze che non a caso non si sono mai scontrate direttamente, nemmeno in Corea. Oggi i pericoli potrebbero essere maggiori se la situazione sfuggisse di mano all’attuale leadership di Mosca, e se armi di distruzione di massa (Wmd) finissero in possesso di elementi poco controllabili. La Nato, fin qui, mi pare si sia comportata con senso di responsabilità, sostenendo la difesa ucraina in misura e in modo tali da evitare un confronto diretto con la Russia
Abbiamo sfiorato davvero la Terza Guerra mondiale o già la viviamo e non ci siamo resi conto?
No, non abbiamo sfiorato un conflitto mondiale né convenzionale né, tantomeno, nucleare. Non fino ad oggi, e non mi pare una prospettiva verosimile nemmeno per il prossimo futuro. Diversa la posizione di chi sostiene che siamo già immersi in un nuovo tipo di conflitto globale, di cui la crisi russo-ucraina rappresenterebbe solo un aspetto. Una sorta di epocale «cambio della guardia» al vertice della gerarchia delle potenze, con la definitiva crisi degli Usa e dell’Occidente che verrebbero sostituiti, dopo decine di conflitti di tipo diverso – alcuni dei quali già conclusi, come quello in Afghanistan – da una nuova «grande alleanza» orientale, con a capo la Cina (che dovrebbe però essere capace di mettere in discussione il dominio statunitense degli oceani) e la Russia in funzione di potenza terrestre insediata nello heartland eurasiatico. Se questo è vero, Taiwan sarà inevitabilmente il prossimo teatro di guerra.
I tank Leopard-2 e Abrams-M1 sono stati inviati in Ucraina da Germania e Usa. Dal punto di vista militare quanto inciderà secondo te?
No, i main battle tanks («carri da battaglia», Mbt) ancora non sono stati inviati: per il momento sono stati promessi. Un passo politicamente molto importante, perché ha chiarito la volontà dell’Occidente di continuare a sostenere lo sforzo militare dell’Ucraina, ma siamo ancora lontani, nel tempo, dal vedere brigate corazzate con la bandiera di Kiev equipaggiate con questi tanks occidentali. Ci vorranno almeno un due o tre mesi; ed anche allora, i numeri saranno (almeno inizialmente) così bassi da non poter in alcun modo fare la differenza sul campo, visto che si parla di decine e non di centinaia di Mbt. L’unico impiego razionale ed efficace di un paio di battaglioni corazzati sarebbe quello di una riserva mobile a disposizione del comando supremo, da impiegare per risolvere una crisi sul campo di battaglia, neutralizzando una massa di manovra nemica che fosse riuscita a penetrare in profondità nelle difese ucraine. Impossibile, con un solo un centinaio di nuovi Mbt, lanciare una controffensiva capace di rovesciare le sorti del conflitto.
Oggi circa 59 conflitti sono in corso in tutto il pianeta, l’Iran sta conoscendo una fase di proteste con pochi precedenti e poi lo scontro tra Kosovo e Serbia, confine caldissimo vicino al nostro Paese. Nel 2023 cosa dobbiamo aspettarci?
Credo che l’Iran sia davvero in una situazione critica sia per quello che riguarda gli equilibri sociali e politici interni, sia per la possibilità di uno scontro militare più o meno «convenzionale» con Israele e i suoi alleati; anche l’alleanza con la Russia può rivelarsi un’arma a doppio taglio nel caso di un insuccesso di Mosca in Ucraina. Per il resto – a parte the big issue, ovvero lo scontro tra Usa e Cina per il controllo di Taiwan e del Pacifico occidentale – l’intera Africa subsahariana potrebbe essere interessata da una situazione di conflitto a bassa intensità… Purtroppo, non sarà un anno di pace. Anche per questo sarebbe molto, molto importante arrivare presto a una soluzione della guerra in Ucraina: ogni incendio locale rischia di alimentare una conflagrazione globale.