Trent’anni fa Bettino Craxi, tracciava all’Onu il percorso per risolvere il problema del debito dei Paesi in via di sviluppo. Nei corridoi del Palazzo di Vetro, a New York, se ne parla ancora e… Il commento di Giuseppe Pennisi
Sono passati quasi trenta anni da quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità il rapporto con cui l’ex presidente del Consiglio italiano, Bettino Craxi, tracciava il percorso per risolvere il problema del debito dei Paesi in via di sviluppo. Nei corridoi del Palazzo di Vetro, a New York, se ne parla ancora e si rilegge il Rapporto Craxi in un momento in cui una nuova crisi debitoria sembra sul punto di esplodere.
In Italia pare che il documento sia stato dimenticato, anche se una nuova e grave crisi del debito dei Paesi in via di sviluppo potrebbe coinvolgere la finanza internazionale più di quella degli Anni Ottanta del secolo scorso e avere, quindi, effetti sul debito della zona dell’euro, tra cui spicca quello italiano. In Banca d’Italia lo sanno: lo dimostra il lavoro di Raffaele Marchi Public debt in low-income countries:current state, restructuring challenges and lessons from the past pubblicato alcune settimane fa in una delle collane della istituzione.
Vediamo, in primo luogo, i dati essenziali. Illustriamo, poi, perché la crisi all’orizzonte pare più grave di quella degli Anni Ottanta, Riassumiamo, infine, quali prospettive si presentano. Secondo l’ultima conta della Banca mondiale, 38 Paesi sarebbero sulle soglie dell’insolvenza. Il nodo non sarebbe così grave se la metà non fosse indebitata principalmente con la Repubblica popolare cinese, che non accetta quanto :stabilito nel 1956 : il principio secondo cui tutte le ristrutturazioni del debito vengono fatte sulla base degli stessi termini.
I creditori statuali sono da allora raggruppati nel Club di Parigi, un consesso internazionale che ha il compito di agire dove il Fondo monetario internazionale non può farlo. Nel Club di Londra, equivalente di quello parigino, ci sono i creditori privati. Ristrutturazione del debito e negoziazione degli accordi per il rimborso dei prestiti bilaterali: questi sono i due campi d’azione del Club di Parigi e di quello di Londra, sul piano pubblico e sul piano privato. Sono diversi i modelli di ristrutturazione del debito che il Club di Parigi ha utilizzato nel corso degli anni.
Il primo è stato secondo i Classic term, che prevedevano un riscadenzamento del debito di un Paese in difficoltà economica a termini predefiniti. Il tasso d’interesse era negoziato volta per volta, caso per caso, ma secondo i dettami del Club doveva essere calcolato da essere “adeguato per garantire una ripresa economica tale da ripagare il debito stesso”. Il profilo di rientro prevedeva in via generale un rimborso nell’arco di dieci anni, con tre anni di grazia. Tramite i Classic term sono arrivati gli accordi con Argentina, Indonesia, Polonia e Zaire. Per un trentennio, dal 1956 al 1987, le uniche trattative possibili erano basate sui Classic term, ma con la crisi del Messico a inizio degli anni Ottanta, il Club si è reso conto che non erano più soddisfacenti.
Nascono quindi i Venice term, che aumentano il periodo di rimborso per i Paesi che richiedono l’aiuto del Club. Largamente utilizzati nei confronti del debito degli stati africani, vengono però presto sostituiti, dato che il processo di ristrutturazione non era abbastanza per risanare le situazioni che il Fondo monetario e la Banca mondiale si sono trovati di fronte. Nasce quindi il concetto di cancellazione del debito, per la prima volta utilizzato nei confronti del Mali nell’ottobre del 1988, applicando i Toronto term. Nascono poi altre condizioni (London term, Naples term), fino ad arrivare a un programma specifico per i Paesi del Terzo mondo, la Heavily Indebted Poor Countries (HIPC) Initiative, attiva ancora adesso.
La Cina e le sue istituzioni non hanno mai voluto fare parte di questi due Club. Non accetta ristrutturazioni e ove il Paese debitore non possa assolvere i propri impegni, richiede rimborsi “in natura”: un porto, una ferrovia o –meglio ancora- una miniera. Quattro Paesi (Chad, Etiopia, Ghana e Zambia) stanno implorando Pechino dopo essersi iper-indebitati per progetti concepiti (spesso male) per la “Via della Seta”.
Non si sa come andrà a finire: è possibile che, secondo le linee del Rapporto Craxi, riceveranno aiuti straordinari da Banca mondiale e Fondo monetario per ridurre parte della loro esposizione con la Cina ed evitare l’insolvenza. La Cina ovviamente, si oppone, ma la strada è tracciata, anche se in salita. E da qualche giorno si parla anche d’intervento dei Paesi del Golfo persico (Arabia Saudita in prima fila) a supporto delle due istituzioni finanziarie internazionali, create nel 1944, a Bretton Woods.
Se queste prospettive si concretizzassero e le due istituzioni finanziarie di Bretton Woods riacquistassero centralità in materia di debito, vale la pena chiedersi perché non ci rivolge a loro per la ristrutturazione (ed adeguate riforme strutturali) per i Paesi più indebitati dell’area dell’euro? Ciò potrebbe anche voler dire mandare in pensione quel Meccanismo europeo di stabilità (Mes) che in Italia è diventato molto controverso.