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Il nuovo ruolo internazionale dell’Italia dopo un anno di guerra. Parla Dassù

Il rapporto Cina-Russia, i viaggi in Ucraina e Polonia, l’ascesa dell’est Europa: il governo di Giorgia Meloni può ritagliarsi uno spazio geopolitico significativo, diventando un anello di collegamento tra il nucleo dei Paesi fondatori, i membri dell’est che sono diventati più rilevanti, e il Regno Unito che sta cercando un nuovo rapporto con l’Unione europea. Intervista a Marta Dassù, direttore di Aspenia ed ex sottosegretario agli Esteri

Nell’anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina, Formiche.net ha parlato con alcuni esperti internazionali per capire come evolve il conflitto e come questo sta cambiando gli assetti euro-atlantici. Marta Dassù, direttore di Aspenia, analizza il rapporto tra la Cina e la Russia nelle ore in cui Wang Yi è a Mosca (dopo essere passato per Roma, Parigi e la conferenza di Monaco), l’importanza dei viaggi di Biden e Meloni in Polonia e Ucraina, e il nuovo ruolo dei Paesi dell’est Europa, che stanno trainando il fronte degli alleati contro i crimini di Putin.

La Cina finora è stata attenta a non farsi coinvolgere direttamente nel conflitto. Come interpreta questo nuovo attivismo da parte di Xi Jinping e del suo emissario Wang Yi?

La Cina nei giorni che hanno preceduto l’invasione ha dichiarato l’“amicizia senza limiti” nei confronti della Russia, che considera un partner chiave, anche se junior. Dalla guerra in Ucraina, ha tratto dei benefici. Benefici geo-politici, perché l’America è obbligata a impegnarsi sul fronte europeo e non su quello che interessa di più alla Cina e a Washington, la regione del Pacifico e Taiwan. E benefici economici grazie all’energia che compra a prezzo scontato, mentre garantisce a Mosca forniture per ora non belliche, ma sicuramente essenziali all’apparato militare russo (come i semiconduttori). Ora comincia una parte più complicata, perché la Cina non ha nessun desiderio di vedere sconfitta sul campo la Russia.

Quindi non sarebbe in grado di predisporre un piano di pace?

Non credo, sia per i motivi appena descritti, sia perché dovrebbe essere un broker credibile per entrambe le parti. È vero che l’Ucraina è andata coi piedi di piombo rispetto alla Cina, perché era uno dei terminali della Via della Seta e ci sono interessi economici in gioco anche per Kyiv. Ma non bastano per rendere Pechino un mediatore neutrale. Il principale obiettivo di Xi è di rafforzare il suo ruolo di guida del “Global South”, quel gruppo di nazioni che sono rimaste più o meno neutrali e che, in parte, non considera il conflitto ucraino una guerra di invasione di Mosca ma una guerra tra Occidente e Russia. Vedremo presto come si muove questo fronte: giovedì sarà votata all’Assemblea generale dell’Onu la risoluzione che Zelensky ha presentato, nonostante gli americani gli avessero consigliato di non giocare di nuovo la carta delle Nazioni Unite, perché l’area dell’astensione potrebbe allargarsi anziché ridursi.

Parlando del viaggio a sorpresa di Joe Biden in Ucraina, mai prima d’ora un presidente americano si era presentato in territorio di guerra senza avere alle spalle (e sopra la testa) la potenza del proprio esercito. Un gesto molto forte.

Sì, anche perché avviene dopo le elezioni di metà mandato, con una Camera dei Rappresentanti a controllo repubblicano in cui una frangia del partito solleva dubbi sull’aiuto molto consistente che gli Stati Uniti stanno garantendo all’Ucraina. Biden ha voluto dimostrare che è in grado di tenere a bada questa frangia e che l’America sarà al fianco del Paese invaso “fin quando sarà necessario”. Una frase di rito ma molto importante. Certo, per gli ucraini le cose vanno più lente di quanto vorrebbero, e il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco ha insistito soprattutto sul fattore velocità (di approvvigionamento, di ricostruzione, di risposta). La fatigue, la stanchezza per la guerra nell’opinione pubblica occidentale esiste ma non è prevalente e non impedisce che questi aiuti militari e civili continuino a fluire. Lo confermano anche i sondaggi pubblicati in questi giorni. E poi il viaggio è servito a rassicurare i Paesi Nato che confinano con Russia e Ucraina: a rassicurarli sul fatto che l’articolo 5 del trattato (all’epoca messo in dubbio da Trump) funziona ancora e gli Usa sono pronti a difendere gli alleati in caso di aggressione diretta.

Giorgia Meloni ha dichiarato il suo sostegno all’Ucraina già in campagna elettorale, e da quando è presidente del Consiglio non ha fatto altro che ribadirlo, anche – e soprattutto – in risposta a certe uscite dei suoi compagni di governo. Com’è messa la nostra immagine internazionale?

Da parte di Giorgia Meloni non c’è mai stata alcuna incertezza, già da quando votava i decreti sulle forniture militari mentre era all’opposizione del governo Draghi. Le parole di distinguo in parte della sua maggioranza sono un fattore di disturbo, interno e internazionale; ma al dunque, tutti i partiti oggi al governo hanno sempre votato insieme a Fratelli d’Italia. Il problema che spesso ha l’Italia, di essere percepita come un ventre molle del fronte occidentale, viene insomma bilanciata dalla convinzione del presidente del Consiglio, che mi sembra radicata, convinta e forte. Nonostante questo la Russia prova regolarmente a inserirsi dove può: non è un caso che Putin, nel suo discorso alla Duma, abbia ha ricordato i “gesti amichevoli” nei nostri confronti, riferendosi a quella specie di missione para-militare – più che medica – che ha svolto nel nostro Paese durante la pandemia.

Si può dire che l’Italia ha superato le incertezze (e le figuracce, vedi Sanremo) e anche dagli ucraini è considerata un alleato affidabile?

Penso di sì, le parole di Giorgia Meloni a Kyiv sono state nette ed esplicite a favore dell’Ucraina: più nette, mi è sembrato, di quelle utilizzate dallo stesso governo Draghi. Ha parlato di una pace giusta perché fondata sulla vittoria dell’Ucraina, una parola che finora non era stata pronunciata volentieri dalla nostra classe politica. Ha aggiunto che va preservata l’integrità territoriale del Paese, che l’aggressione non può essere in nessun caso condonata, perché viola i principi del diritto internazionale, e che la sovranità nazionale è un bene assoluto. Certo, questo incontra anche la sua visione “sovranista” (fra molte virgolette), ma è certamente una posizione internazionale solida. Alla quale si somma l’idea italiana di ospitare una conferenza internazionale sulla ricostruzione, e di mettere in tandem Roma e Odessa per l’Expo futura. Insomma, una serie di gesti importanti di una giovane donna che, nella sua determinazione, ha lasciato trasparire una vera emozione davanti ai crimini di guerra commessi a Bucha e Irpin.

Partendo dai viaggi di Biden e Meloni in Polonia, non si può non notare che dal 24 febbraio 2022 il ruolo dell’est Europa è diventato sempre più centrale: Varsavia, Praga e i baltici accolgono più rifugiati e forniscono più aiuti (in proporzione alle loro economie) di chiunque altro. Che sia perché sono “in prima linea” geograficamente, o perché il ricordo dell’imperialismo sovietico è ancora fresco, hanno dato un grande impulso all’Unione europea, tanto che Meloni ha definito la Polonia il “confine morale” dell’Europa. Noi siamo abituati a guardare a Francia e Germania, ma forse dovremmo aprire gli occhi sul fatto che la nuova linfa del progetto europeo arriva da est.

Questa guerra ha prodotto varie conseguenze sugli equilibri in Europa: dalla centralità indiscussa della Nato nella difesa europea (con la fine di vaghi discorsi sull’autonomia strategica…) alla crisi del modello industriale tedesco, basato sull’importazione di gas a basso costo dalla Russia e sull’export verso il mercato cinese. Ma accanto a questi effetti di tipo “strutturale”, c’è indubbiamente un effetto geopolitico di spostamento verso est del baricentro europeo, con l’eccezione ovviamente dell’Ungheria che gioca una sua partita diversa. I Paesi del fronte Est oggi possono dire a Germania, Francia, Italia, cioè all’Europa centro-occidentale, “ve l’avevamo detto”, Putin aveva un disegno di tipo imperiale-coloniale e voi insistevate su un dialogo che non poteva stare in piedi. Non solo appaiono più credibili, sono diventati la frontiera del conflitto e nel caso della Polonia il polo logistico attraverso cui passano le forniture militari e civili.

Che rapporti ha l’Italia con l’Europa dell’est?

Questa Italia, l’Italia di Giorgia Meloni, ha delle possibilità da utilizzare, visto che il partito di maggioranza polacco, il PiS, è nel gruppo che lei guida all’Europarlamento. E un altro rapporto importante di questo governo potrà esserci con il Regno Unito, perché questa guerra ha anche smussato le tensioni tra Bruxelles e Londra, riannodando il filo di una discussione almeno sul piano della sicurezza. L’Italia dunque, in un progetto “sulla carta” di politica estera, potrebbe diventare un anello di collegamento tra il nucleo dei Paesi fondatori, i membri dell’est che sono diventati più rilevanti, e il Regno Unito. Ma questo implica che l’Italia di oggi abbia un rapporto solido anche con Francia e Germania. E poi c’è tutta la partita sull’allargamento della Nato a Svezia e Finlandia, per ora bloccato dalle obiezioni turche, ma che dovrebbe avvenire nei prossimi mesi. Uno scenario europeo in grande mutamento, in cui l’Italia, se non fosse appesantita da problemi interni di vario genere, tra cui l’entità del debito pubblico, potrebbe ritagliarsi un ruolo geopolitico significativo.


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