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I grattacapi di Giorgia Meloni visti da Martina Carone

Non sono stati facili i primi cento giorni dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. Nessuno stupore, quindi, se incrociando la presidente del Consiglio la vedeste levare gli occhi al cielo… L’opinione di Martina Carone, Università di Padova e Quorum/YouTrend

Oggi è uno di quei giorni in cui qualora incontraste Giorgia Meloni per strada potreste vederla levare gli occhi al cielo: e vai a darle torto.

Da una parte, i sondaggi: l’ultima Supermedia YouTrend registra un uovo calo di FdI. Lievissimo, quasi impercettibile: però è l’ennesimo, consecutivo, che porta il partito di Meloni sotto alla soglia esaltante del 30% a cui era (prevedibilmente) arrivata dopo il successo elettorale.

L’altra motivazione, per cui non possiamo biasimarla del volgere gli occhi al cielo, è forse una delle cause di testa leggerissima flessione: i primi 100 giorni di governo sono stati durissimi. Per diversi motivi: la legge di Bilancio, scritta a tempo record a causa della prossimità tra l’insediamento e la data di scadenza della presentazione; le complicazioni economiche, retaggio della guerra e non, e i tentativi di arginarle con metodi che non sono piaciuti ad alcune delle fasce cui storicamente il centrodestra si rivolge (leggasi: i benzinai, e i tassisti); il dibattito sulle intercettazioni, alimentato dalle posizioni (in realtà, ben note a chi lo conosce da tempo) del ministro Nordio che sono sembrate andare in controtendenza rispetto al successo derivante dalla cattura di Messina Denaro; il delicato tema del 41bis, evocato da Messina Denaro e dal caso Cospito.

Alcune di queste complicazioni erano prevedibili: non a caso, il suo slogan in campagna elettorale era “Pronti”, e tutta la campagna era improntata sul mostrarla consapevole, competente, istituzionale. Solida.

Altre, però, sembrano più assomigliare a una tafazziana zappa sui piedi: da una parte il caso Donzelli, accusato di essere entrato in possesso di documenti riservatissimi e di averli poi divulgati in Parlamento, utilizzandoli come un’arma contro l’opposizione. Ci saranno le sedi opportune per verificare come sia andata questa complicata vicenda, eppure le premesse non sembrano rassicuranti soprattutto dal punto di vista della comunicazione: alcuni han parlato di “analfabetismo istituzionale”,

Dall’altra, le polemiche su Sanremo e sulla partecipazione di un rapper (o trapper, vai a sapere), Rosa Chemical, e i contenuti del suo testo. FdI ne chiede, in aula, la rimozione dalla kermesse per “inadeguatezza dei temi” (sesso, identità di genere, pratiche sessuali) e per “diffusione dell’ideologia gender” (…).

Risultato? Il più classico dell’Effetto Streisand, meccanismo in forza del quale si alimenta la diffusione di una notizia e l’adesione a una idea solo per il semplice fatto di averla voluta ostacolare, condannandola, denunciandone la pericolosità, cercando di limitarne la diffusone.

Due mosse che hanno tradito dei tentativi di costruzione di una proposta politica ma che entrambe, in modo diverso e con diversa intensità, sembrano scivoloni dovuti alla volontà di tenere alti i toni in una campagna elettorale permanente, in cui – anche se al governo – ci si comporta da opposizione dell’opposizione stessa. Qualcosa che Meloni – ma non i suoi – sta imparando in fretta.

Insomma, se oggi incontrate Giorgia Meloni e la vedete abbacchiata, non fategliene una colpa: pensate ai cento giorni che ha passato, e perdonatele quegli occhi alzati al cielo.



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