Déby, in visita a Gerusalemme, ha annunciato l’apertura di un’ambasciata. È un passo avanti merito del lavoro dell’agenzia, che ha evitato che i rapporti saltassero dopo la morte dell’ex leader. L’obiettivo è che altri Paesi arabi e musulmani della regione si impegnino nella normalizzazione. Ma il servizio ha anche un obiettivo interno
In visita a Gerusalemme, Mahamat Idriss Déby, presidente ad interim del Ciad, ha aperto un’ambasciata in Israele. Si tratta di un importante passo verso la normalizzazione delle relazioni. I due Paesi hanno ristabilito rapporti diplomatici nel gennaio 2019, 47 anni dopo che il Ciad, nazione a maggioranza musulmana, aveva tagliato i ponti con Israele. Merito dell’ex presidente Idriss Déby Itno, padre dell’attuale leader che ha governato il Paese per 30 anni. Qualcosa è cambiato con la sua morte, avvenuta nel 2021 a causa delle gravi ferite riportate in uno scontro a fuoco con un gruppo di ribelli. “Quando Déby è diventato il nuovo leader del Ciad, ha visto le relazioni con Israele più come un peso che come un vantaggio e abbiamo lavorato lentamente per convincerlo a riscaldare le relazioni”, ha detto un funzionario israeliano ad Axios.com.
Lo stesso giornale ha sottolineato come la visita in Israele dell’attuale presidente sia stata organizzata dal Mossad, che ha gestito le relazioni bilaterali per evitare che collassassero e che da anni ormai sta lavorando sull’Africa. A maggio dell’anno scorso Ben Bourgel, ambasciatore israeliano in Senegal, Gambia, Capo Verde, Guinea e Guinea-Bissau, ha presentato le sue credenziali a Déby: è stato il primo diplomatico israeliano a farlo in mezzo secolo.
Dopo il giuramento del nuovo governo israeliano, David Barnea, direttore del Mossad, ha invitato Déby a visitare Israele e a incontrare il primo ministro Benjamin Netanyahu. È stato proprio Barnea ad accogliere all’aeroporto Déby, impegnato in una visita tenuta segreta fino all’atterraggio a causa del timore che Paesi come l’Algeria facessero pressione sul leader del Ciad per evitare la sua partenza. I funzionari israeliani sperano che il rinnovato slancio con il Ciad rappresenti un messaggio ad altre nazioni arabe e musulmane della regione, come Niger e Sudan, affinché rinnovino gli sforzi per stabilire relazioni formali con Israele, ha raccontato Axios.com. Poche ore dopo la visita di Déby i media israeliani hanno riportato le dichiarazioni di un funzionario secondo cui, a più di due anni dalla dichiarazione di normalizzazione dei rapporti con Israele, il Sudan sarebbe finalmente pronto ad aderire ufficialmente agli Accordi di Abramo, promossi dagli Stati Uniti.
La visita di Déby ha però anche risvolti interni a Israele. Basti pensare che il Mossad ha diffuso per l’occasione un’insolita dichiarazione sottolineando l’accoglienza all’aeroporto e gli incontri con la delegazione ciadista nel quartier generale dell’agenzia. “Il Mossad ha svolto un ruolo centrale nel raggiungimento dell’accordo di normalizzazione”, si legge. “Insieme ad altri elementi della diplomazia e della sicurezza israeliana, il Mossad ha guidato la nascita di relazioni segrete con alti funzionari del Ciad, che hanno portato a visite reciproche di delegazioni di alto livello”. Potrebbe essere un modo per ricordare alla politica la centralità dell’agenzia in una fase in un ex Shin Bet, Ronen Levy, è stato scelto come direttore generale del ministero degli Esteri, e l’attuale direttore dello Shin Bet, Ronen Bar, ha recentemente accompagnato Netanyahu in Giordania.
L’interesse degli apparati di sicurezza per l’Africa è probabilmente frutto di un doppio interesse. Da un lato, le intelligence (su tutte il Mossad) muovono le proprie attività per definire un’agenda che travalica i termini — temporali e operativi — dei governi, dimostrando la centralità degli apparati nel sistema di amministrazione del Paese. Dall’altro (abbinato e conseguente) c’è la necessità anche per Israele di essere più presente in Africa — continente dove si muove parte dell’attuale e futura competizione tra medie e grandi potenze. Gerusalemme guarda al Ciad con un interesse di carattere innanzitutto securitario. Ex primo partner francese nelle campagne anti-terrorismo nel Sahel, N’Djamena è un attore centrale nelle battaglia contro i gruppi armati che caratterizza l’attuale stagione nella regione. Il Sahel è uno dei centri di propagazione del terrorismo jihadista, e Israele sa che spurie di essa potrebbero raggiungere anche il proprio territorio — tanto più in un momento in cui la resistenza palestinese è tornata molto calda.
Già nel 2019, quando era alla guida di un governo precedente, Netanyahu aveva detto che i recenti attacchi dell’insurrezione islamica in vari territori dell’Africa dimostravano dimostrato la necessità di cooperare sulla sicurezza. “La partita è tutt’altro che persa se ci uniamo”, diceva. “Siamo felici di sapere che un Paese a maggioranza musulmana è legato da vincoli diplomatici a Israele”. Il primo ministro in più di un’occasione ha ricordato come le rinnovate relazioni con il Ciad siano un esempio di quanto Israele possa fare breccia diplomatica in Africa e in Medio Oriente nonostante la questione palestinese.
Non ultimo, dietro a questo interessamento israeliano (e del Mossad) al Ciad e alla regione centro-settentrionale sta in quanto uscito dall’incontro di Déby con il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, il quale ha sottolineato l’importanza ciadiana nel “ridurre l’influenza dell’Iran e di Hezbollah nella regione del Sahel, come chiave per garantire la stabilità e contrastare l’esportazione del terrorismo”. L’esistenza o il livello di influenza iraniana nel Sahel non è ancora chiaro, ma se Gerusalemme ne parla significa che qualche genere di attività è in corso.
Questioni non nuove. Per esempio: il Marocco – attualmente parte degli Accordi di Abramo – ha tagliato i legami con l’Iran nel 2018, accusandolo di lavorare attraverso Hezbollah per addestrare e armare il gruppo del Fronte Polisario, che conduce una lotta armata per l’indipendenza del territorio conteso del Sahara occidentale. Rabat ha anche messo in guardia dalle incursioni iraniane nel Sahel, utilizzando l’Algeria come porta d’accesso. L’Algeria e il Polisario hanno negato questa eventualità.
(Foto: Israeli GPO)