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Papa Francesco e l’Ucraina, 12 mesi dopo. La bussola di Faggioli

“In Vaticano, nell’interpretazione dell’invasione russa dell’Ucraina c’è stata un’evoluzione”, spiega lo storico Massimo Faggioli della Villanova University. Ma “all’interno della Chiesa cattolica, così come dell’Occidente in generale, c’è una divisione importante sul significato di questa guerra”

“Il sostegno del Santo Padre è stato essenziale per il nostro Paese. Nell’ultimo anno abbiamo ascoltato oltre cento discorsi e appelli del papa per la pace in Ucraina, un modo di incoraggiare gli ucraini a restare forti”. È quanto affermato da Andrij Yurash, ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, a Sky TG24. La visita di papa Francesco in Ucraina “credo sia molto vicina, ma la risposta non può venire da me, verrà dal pontefice. Credo però che la data sia vicina”, ha spiegato ancora.

Com’è cambiata la posizione della Chiesa cattolica e della Santa Sede in questi dodici mesi di guerra? Ne parliamo con Massimo Faggioli, professore di Teologia storica alla Villanova University, in Pennsylvania, negli Stati Uniti.

Com’è cambiata l’interpretazione della guerra da parte del Vaticano in questo anno?

In Vaticano, nell’interpretazione dell’invasione russa dell’Ucraina c’è stata un’evoluzione in questi dodici mesi. Si è capito che non si poteva mantenere una neutralità assoluta: la Santa Sede deve essere tale per la sua posizione particolare nell’ordinamento internazionale, ma la Chiesa non poteva, davanti a un aggredito e un aggressore. Inizialmente Francesco è stato percepito come filo-russo a causa della sua disponibilità a non condannare esplicitamente Mosca. Ma i suoi continui inviti a pregare per “l’Ucraina martire” lo hanno anche fatto apparire agli occhi di Mosca come schierato con il governo di Kyiv.

All’interno della Chiesa cattolica ci sono ancora divisioni?

Il linguaggio è stato modulato nel corso dei mesi ma all’interno della Chiesa cattolica, così come dell’Occidente in generale, c’è una divisione importante sul significato di questa guerra. Papa Francesco la legge all’interno di quella che ha definito la “Terza guerra mondiale a pezzi”, e come continuazione della Guerra Fredda. Un esempio sono i suoi riferimenti al ruolo della Nato e alle provocazioni dell’Alleanza atlantica alla Russia. Ma c’è poi all’interno del cattolicesimo un’altra visione, più vicina alla Chiesa ucraina e all’Europa orientale, che interpreta questa guerra come una rottura nella storia dell’Europa moderna contemporanea che allo stesso tempo ha radici che risalgono a prima della Guerra Fredda, agli interventi della Russia nell’Europa dell’Est (Polonia, Finlandia, Paesi Baltici). Questa differenza di letture storiche è ancora al centro del dibattito dopo dodici mesi ed è alla base delle difficoltà per il Vaticano e per papa Francesco di farsi comprendere dagli ucraini (in Ucraina ma anche la diaspora) e dall’Europa dell’Est. Inoltre, riflette una spaccatura presente all’interno dell’Europa, fra Occidente e Oriente, non solo nella politica ma anche all’interno delle chiese.

La Santa Sede può essere il mediatore che tutti stanno cercando?

Il tentativo della Santa Sede di proporsi come mediatore o quantomeno facilitatore del dialogo non mi sembra andare da nessuna parte per ora. L’invocazione di un “nuovo spirito di Helsinki” è audace, ma oggi non ci sono più le condizione per la neutralità di quella parte di Europa che rese Helsinki 1975 possibile. Non si capisce bene quale siano le vere possibilità per il Vaticano di agire, poiché la sua diplomazia è in larga parte dipendente dalle interviste di papa Francesco.

In che modo?

Si tratta di esternazioni che a volte sfuggono a un certo rigore del linguaggio diplomatico. E in questo scenario, la posizione della Chiesa cattolica non è uscita rafforzata. Certo, è ancora un attore di prima importanza, è la più importante fra le Chiese e le religioni. Ma questi dodici mesi non hanno rafforzato la sua posizione. Il “ministro degli Esteri” del papa, l’arcivescovo Paul Gallagher, non ha avuto contatti con il suo omologo russo, Sergei Lavrov, fin dalla visita a Mosca del novembre 2021. Allo stesso tempo, il papa ha continuato a essere attivo dietro le quinte, facilitando diversi scambi di prigionieri tra le parti in guerra, e l’autorità morale della Santa Sede e del papato continua a essere unica.

Davanti alla guerra “santa” del leader russo Vladimir Putin, che ha ricevuto il sostegno anche del Patriarca Kirill, si avverte la mancanza di un ruolo della Chiesa cattolica?

Negli anni Sessanta e Settanta, con la Ostpolitik vaticana, la Chiesa cattolica era certamente più autorevole nel mondo in quanto non aveva a che fare con crepe interne che ormai sono visibili da anni, da ben prima del pontificato di Francesco. Si tratta di divisioni che riguardano questioni politiche e teologiche a cui si somma il protrarsi degli scandali degli abusi sessuali. A quest’ultimo aspetto ha fatto riferimento, seppure in modo vago e con fini propagandistici, il leader russo Vladimir Putin nel suo discorso del 21 febbraio scorso. Inoltre, è una Chiesa cattolica che si sta globalizzando, che è più rivolta verso l’Asia e il Sud del mondo e che è meno attenta all’Europa. Agli occhi del Cremlino e del Patriarcato di Mosca queste sono debolezze interne da sfruttare.

(Vatican Media Divisione Foto)

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