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Phisikk du role – Perché la Destra non riscopre il Risorgimento?

Ragionando e ragionando, magari verrebbe il gusto di recuperare il più negletto di tutti i padri: quel Mazzini che forse non abbiamo ancora compreso, ma che arreda le nostre piazze di sue statue ornate di stormi migratori. La rubrica di Pino Pisicchio

Vengo da una generazione che si muove disorientata in questo tempo fluido e globalista. L’ombra del ‘68, epopea che ci perdemmo per ragioni di anagrafe, s’allungava sui primi anni ‘70 e lasciava la sagoma fascinosa di una politica indissolubilmente legata alla cultura. Politica, cultura, musica rock, viaggi per conoscere il mondo, erano all’ingrosso il menù di quella generazione di liceali che qualche volta si menava pure, suscitando reazioni scritte e orali di presidi e professori antifascisti, ma i ministri, per fortuna, se ne stavano zittini. Con quelle chiavi di lettura – politica e cultura insieme – diventa difficile capire cosa passa oggi il convento.

Perché il menù non prevede più alti pensieri. Eppure eradicare l’azione politica dal terreno dove germogliano le idee, dove l’humus della cultura è causa efficiente dell’esistere (se no resta solo l’autoreferenza e l’ideologia “con la Franza o con la Spagna purché se magna”), è un errore fatale: un po’ come l’incuria dell’uomo che crea cataclismi ambientali e squassa le stagioni. Per questo trovo apprezzabile lo sforzo di intellettuali come Malgieri, spiaggiati come me da un tempo che maneggiava l’endiadi come avesse tra le mani il sacro fuoco – ma il giovane Malgieri era nell’anfratto più scomodo della cultura politica della destra – di ricostruire il pedigree di una parte politica, ex polo escluso, oggi saldamente egemone al governo.

Lo ha fatto su queste colonne partendo dall’avvento della Repubblica. Non fa una grinza. Ma mi domando: la destra della presidente Meloni ha voglia o no di saltare quel tempo talvolta controverso e generazionalmente estraneo che si identifica con la stagione della nostalgia, per raccordarsi ai filoni più nobili e condivisi di cultura politica che l’Italia ha liquidato senza pietà e senza spiegazioni plausibili? Parlo del Risorgimento e della Destra Storica che va da Cavour a D’Azeglio, Minghetti, Quintino Sella, Ricasoli, che sono non eroi della toponomastica metropolitana, ma padri dell’Italia Unita.

È strano: quest’Italia che celebra tutti gli anniversari possibili salta il Risorgimento, includendolo solo nei passaggi necessari del programma di storia nelle scuole superiori. Una specie di adempimento. E capita che la politica, prostrata sull’immediato e poco incline ad elucubrare se proprio non c’è costrizione, salti a pie’ pari questo tempo, smarrendone anche i fili connettivi. Il mio amico De Tomaso dice che riprendere il filo della storia potrebbe rappresentare la Bad Godesberg della Destra italiana. Onestamente non so dire se la generazione di Giorgia Meloni abbia da fare gesti come quelli che portarono i socialdemocratici tedeschi nel 1959 ad abiurare il marxismo nella città termale tedesca. So, però, che l’evocazione di una cultura di destra, identitaria ed italiana, dotata di una cifra risorgimentale, potrebbe avere un senso per la politica tutta.

Chissà, potrebbe rispondere da sinistra un ravvivarsi di fili di collegamento con Rattazzi, Cairoli, Vittorio Emanuele Orlando. E persino Agostino De Pretis, ingiustamente passato alla storia come inventore del trasformismo, che non fu santo protettore dei voltagabbana, ma solo uno che forse tentava di non spezzare in due un paese ancora giovane. E, ragionando ragionando, magari verrebbe il gusto di recuperare il più negletto di tutti i padri: quel Mazzini che forse non abbiamo ancora compreso, ma che arreda le nostre piazze di sue statue ornate di stormi migratori.



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