L’avvocato Stanislao Chimenti, partner dello studio internazionale Delfino Willkie Farr&Gallagher, spiega a Formiche.net cosa può fare il nostro Paese per attrarre gli investimenti esteri. A partire dai temi della Giustizia, fino al mercato del lavoro
C’è molto che l’Italia può fare per stimolare gli investimenti esteri. Da cosa partire? Di importa cruciale è la riforma della Giustizia, basti pensare al ruolo assegnatogli dal Pnrr. Un tema di grande rilievo per l’attrazione degli investimenti è rappresentato poi dal mercato del lavoro. L’avvocato Stanislao Chimenti, partner dello studio internazionale Delfino Willkie Farr&Gallagher spiega perché a Formiche.net.
Come valuta l’attuale situazione del Paese sotto la particolare prospettiva del diritto dell’economia?
La condizione economica generale del Paese è sicuramente molto delicata; tuttavia gli indicatori economici più recenti sembrano attestare una situazione meno grave rispetto alle analisi e alle previsioni di un anno fa immediatamente successive allo scoppio del conflitto in Ucraina.
Come osservato dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi, l’inflazione italiana, tornata nuovamente a salire, è in effetti influenzata principalmente dagli eventi bellici e, quindi, appare per un verso contingente, per altro verso circoscritta a determinati beni e servizi (l’energia e taluni generi alimentari). Per quanto possano valere simili considerazioni, al netto di tali beni l’inflazione italiana è coerente con quella del più recente passato, dato questo che può indurre un cauto ottimismo perché esprime una sostanziale tenuta del tessuto economico del Paese dopo lo shock pandemico.
Ciò significa che l’Italia sia destinata a subire per così dire gli eventi esterni?
Il conflitto in Ucraina è evidentemente un evento straordinario e di portata eccezionale, rispetto al quale l’Italia sta comunque riversando un grande impegno nel supporto allo Stato aggredito al fine di raggiungere prima possibile una pace equa e duratura. A parte tali considerazioni, sul versante interno c’è molto che l’Italia può fare per stimolare l’economia e proprio il presidente Bonomi ha sottolineato in tal senso l’importanza delle riforme.
Lei ritiene che la riforma della Giustizia sia rilevante sul tema dell’economia?
Non solo è rilevante, ma è di importanza cruciale. Basti pensare al ruolo che il Pnrr assegna proprio ai temi della giustizia per rendersene conto. L’Italia è saldamente inserita in uno spazio giuridico europeo che rende indifferibile non solo l’uniformità del diritto sostanziale, ma anche la celerità e la certezza del meccanismo processuale, perché senza un processo equo, celere ed efficiente non può attuarsi il principio della effettività della tutela.
L’Italia a che punto è sotto questo profilo?
Il nostro Paese vanta ovviamente una tradizione giuridica di primissimo piano. Tuttavia, talune opzioni appaiono meritevoli di modifiche, se non di un vero e proprio ripensamento. Ad esempio, il nostro codice civile appare improntato a un generale principio di favor debitoris nell’ambito del rapporto obbligatorio. Si tratta di una scelta dovuta a ragioni in primo luogo storiche, volte a temperare l’eccessivo rigore, risalente addirittura al diritto romano, che sanzionava il debitore inadempiente.
Come ritiene che ciò abbia pregiudicato il sistema Paese?
Nella struttura del codice civile e, di riflesso, di quello di rito, il debitore viene pensato come la parte debole del rapporto obbligatorio. Tuttavia, questa scelta, assai discutibile sul piano dell’inquadramento teorico della questione, ha anche condotto a esiti non sempre opportuni, tanto che il creditore insoddisfatto che adisca la giustizia civile è costretto ad attendere tempi e sostenere costi incompatibili con il principio sopra menzionato di effettività della tutela. Ciò evidentemente scoraggia gli investitori esteri.
Per limitarsi al processo civile, la c.d. riforma Cartabia appare improntata a conseguire proprio tali obbiettivi: semplificazione dei meccanismi processuali come strumento per conseguire la celerità del processo. Ancor prima, promozione di meccanismi alternativi di soluzione delle controversie che agevolino la composizione bonaria della lite, senza ricorrere al giudice. Ovviamente solo il tempo potrà rivelare se l’attuazione concreta della riforma sortisca gli effetti auspicati. In linea teorica le soluzioni adottate paiono condivisibili: nel processo civile si sono soppresse udienze come quella di precisazione delle conclusioni che nella pratica rappresentavano una mera tappa, priva di effettivo rilievo processuale. Ancora, la struttura del processo ordinario di cognizione prevede ora che il Giudice giunga alla prima udienza ben preparato circa le difese della parti, i documenti e le istanze istruttorie, in modo da poter assumere provvedimenti che orientano il processo in modo anche determinante sin dalla prima udienza. Anche l’intera calendarizzazione delle udienze dall’inizio del processo è strumento utile per il contenimento dei tempi processuali. Tuttavia, è essenziale che a queste riforme si affianchi anche un adeguato rafforzamento dei ruoli dei magistrati e del personale di supporto; diversamente i tempi di durata dei giudizi non potranno ridursi in alcun modo perché i singoli giudici, se oberati di carichi di lavoro eccessivi, tenderanno inevitabilmente a disporre rinvii molto lunghi.
Oltre alla giustizia quali altri temi sono rilevanti per l’attrazione degli investitori?
Un tema sempre di grande rilievo per l’attrazione degli investimenti esteri è rappresentato dal mercato del lavoro. Una peculiarità del mondo del lavoro italiano che si è manifestata da ultimo è la grave carenza di personale specializzato da impiegare soprattutto nel settore dell’edilizia. Un recente studio della Banca d’Italia ha quantificato il fabbisogno di carpentieri, operai, elettricisti, esperti di costruzioni in cemento ecc. che sarebbe necessario per la realizzazione delle opere edilizie e infrastrutturali connesse con l’erogazione dei fondi del PNRR. E’ emerso come la domanda sia largamente superiore all’offerta. È noto che, secondo una parte degli analisti, una simile circostanza sia dovuta anche all’erogazione del reddito di cittadinanza, di cui hanno beneficiato non sempre i percettori effettivamente bisognosi e meritevoli. Atteso il deficit di offerta interna, il mercato del lavoro ha dunque necessità di approvvigionarsi con manodopera qualificata proveniente dall’estero. È così inevitabile un efficace coordinamento con le politiche riguardanti i flussi migratori sin qui attuate. Al di là delle considerazioni strettamente umanitarie, il sistema economico può trarre grande beneficio dall’apporto di manodopera straniera, fintanto che quella domestica continui, per varie ragioni, a essere insufficiente. È peraltro essenziale che vengano adottate cautele e politiche mirate. In primo luogo, deve accordarsi preferenza a personale già formato; in caso contrario, la formazione deve essere qualitativamente adeguata, tenuto conto che i tempi per la formazione di un operaio specializzato possono essere non brevi. Particolare cautela deve poi essere adottata a protezione del personale in fuga da zone di guerra o comunque di grande disagio sociale ed economico. Da un lato, è imprescindibile offrire tutela e protezione, reprimendo abusi e fenomeni di sfruttamento; dall’altro devono promuoversi meccanismi che garantiscano e promuovano, una volta completata la formazione, l’effettivo inserimento in un mercato del lavoro efficiente, adeguatamente tutelato, ma anche, finalmente, sufficiente flessibile e dinamico.