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Autonomia strategica, frammentazione europea e l’eredità di Ciampi

Il presidente emerito della Corte Costituzionale in apertura del ciclo formativo organizzato da Spes: “Cè un bisogno essenziale di integrarci con i Paesi del Mediterraneo e del Nord Africa. Sia per quanto riguarda l’approvvigionamento delle materie prime, sia per quanto attiene alle dinamiche più generali del mercato”.

Nel nome di Carlo Azeglio Ciampi, con lo sguardo a futuro e l’auspicio che i giovani possano dare uno “scossone a questa Europa”. La pennellata finale della lectio magistralis di Giuliano Amato (nell’ambito della mattinata organizzata dalla Scuola di politiche economiche e sociali in Senato, cha ha aperto la strada al ciclo di formazione promosso da Spes) è un’iniezione di fiducia. Ma anche una presa di coscienza sul fatto che, per raggiungere l’autonomia strategica, il percorso da affrontare sia ancora piuttosto lungo.

Il concetto, di per sé, riconosce il presidente emerito della Corte Costituzionale, “è problematico e nasce, in prima istanza, in riferimento al tema della difesa nel 2013”. La prospettiva che allora veniva tracciata era quella di fornire “all’Europa un rafforzamento della spesa militare”. E dunque di un conseguente irrobustimento della difesa europea stessa. Però, i “sovranismi, preesistenti a Ungheria e Polonia – argomenta Amato – impedirono questo processo. Le relazioni tra i governi, le forze armate e le industrie belliche di certi paesi sono stati l’ostacolo per attuare questo processo. Stessa sorte che ebbe l’idea di un’industria militare europea”.

La necessità dell’autonomia strategica, via via, si allarga e prende piede. Varca i confini dell’industria militare e della difesa e lambisce gli interessi generali, economici dei Paesi. “Nel 2016 – così il presidente Amato – appaiono i primi documenti nei quali si fa menzione della strategia globale, all’indomani del referendum che sancì la Brexit. Poi, l’anno successivo, si arriva all’esplicita menzione di aree economiche in cui è necessaria l’autonomia strategica. Politicamente, il passaggio fondamentale, è stato fatto dal presidente francese Macron che per la prima volta parlò di sovranità europea”.

A questo punto la nozione di autonomia strategica passa dal settore militare a quello delle tecnologie, delle produzioni, nel settore agro-alimentare, energetico. Due elementi significativi su questo versante sono stati la pandemia e la guerra in Ucraina che hanno imposto “semafori rossi al mercato globalizzato, laddove prima c’erano esclusivamente semafori verdi”. E’ risultato chiaro un concetto: “Per essere autonomi si doveva fare di più”. Il contesto nel quale portare avanti questo disegno, però, deve essere saldamente ancorato all’Europa.

Su questo, dice Amato, “Ciampi non avrebbe avuto dubbi: l’autonomia strategica deve muoversi a un livello europeo, perché noi ci troviamo davanti a una frammentazione del commercio mondiale tale per cui è impensabile reagire frammentando l’Europa”. Per il Vecchio Continente, tuttavia, è inimmaginabile un’autonomia strategica che non tenga conto, da un lato del rapporto con gli Stati Uniti (riallacciando i legami dissipati durante l’era trumpiana) e dall’altro con il Mediterraneo. “Cè un bisogno essenziale – chiosa Amato – di integrarci con i Paesi del Mediterraneo e del Nord Africa. Sia per quanto riguarda l’approvvigionamento delle materie prime, sia per quanto attiene alle dinamiche più generali del mercato”.

Di qui l’auspicio affinché qualcuno in Europa “si metta alla testa di questo progetto, con un occhio alla sostenibilità economica”. Chiaramente, nel nome dell’attualità e del pensiero di Ciampi. Messaggi, questi ultimi, ribaditi anche da Ernesto Giovannini e Valerio De Luca (presidente e direttore della fondazione Spes Ciampi) che, nel rivolgersi agli studenti, rimarcano la necessità della coesione. “L’attualità dell’insegnamento del presidente Ciampi – è la chiosa –  sta nel rinnovato grande amore per l’Italia e per le sue istituzioni, che rivela soprattutto oggi il bisogno di unità, di un comune sentire e di un senso di appartenenza ad una cultura, ad una lingua, ad una tradizione, che rappresentano un efficace antidoto contro il populismo e il ritorno dei nazionalismi, ma soprattutto un importante collante per restituire agli italiani quella fiducia che permette di guardare al futuro con speranza”

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