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Da superbonus a supermalus? Il dubbio di De Tomaso

Sullo sfondo della polemica in corso, lo scontro tra opposte visioni dell’economia. L’abnormità dell’aiuto (110% garantito dallo stato) dietro le distorsioni dei prezzi per il rifacimento abitativo. Un colpo al calcolo economico e alla concorrenza. Il commento di Giuseppe De Tomaso

Chiediamo scusa per la semplificazione, o per la banalizzazione. Ma gli studiosi dello sviluppo economico si dividono, in linea di massima, tra quelli che attribuiscono il merito della crescita al risparmio e quelli che lo attribuiscono al consumo. I primi fanno capo (un nome per tutti) all’economista britannico David Ricardo (1772-1823), fra i massimi esponenti della scuola classica dell’economia. I secondi fanno riferimento all’economista, anch’egli inglese, John Maynard Keynes (1883-1946), considerato il padre della macroeconomia.

Per l’intero Ottocento ha prevalso il pensiero di Ricardo. Per larga parte del Novecento, dopo la Grande Depressione degli Anni Trenta, ha prevalso la Teoria di Keynes, tranne che nella fase storica caratterizzata dalle figure di Ronald Reagan (1911-2004) e Margaret Thatcher (1925-2013), entrambi liberisti: il presidente Usa era influenzato dai libri di Milton Friedman (1912-2006) e la lady di ferro londinese era ispirata dai testi di Friedrich von Hayek (1899-1992).

Tuttora, non c’è partita tra le due squadre di economisti. Continua a prevalere la scuola keynesiana, favorita anche dal fatto che alla classe politica non sembra vero poter contrapporre l’autorità, il prestigio del mostro sacro Keynes alle obiezioni di coloro che vedono nell’eccesso di spesa pubblica (cara ai governanti), e della relativa corruzione, la causa scatenante di molti problemi che angustiano l’economia, a iniziare dall’inflazione.

Ma davvero un redivivo Keynes approverebbe oggi tutti i capricci delle classi dirigenti al potere smaniose di conquistare il consenso degli elettori a colpi di regalie e privilegi vari? Davvero Keynes ravviserebbe in tutti i provvedimenti clientelari che dilatano la spesa pubblica quell’effetto moltiplicatore, da lui introdotto nella sua Teoria Generale, che genera nuovi investimenti e nuova ricchezza? Bah. Stentiamo a crederlo.

Di fronte a questa degenerazione delle uscite pubbliche, il partito trasversale del rigore ripropone da sempre l’espressione di Friedman, nessun pasto è gratis, che faceva da contrappunto alla frase spot esposta all’ingresso dei saloon americani nella seconda metà dell’Ottocento. La lezione-slogan di Friedman è autoesplicativa: in economia tutto ha un costo, che prima o poi qualcuno dovrà pagare. In linea con questa filosofia, la Thatcher aggiungeva che non ci sono soldi pubblici, ma soltanto soldi privati prelevati dai governi, tramite la tassazione, per le loro scelte quotidiane e di lungo periodo.

Il lettore ci perdonerà se l’abbiamo presa da lontano. Ma dietro la querelle sul superbonus del 110% a favore dell’edilizia si può intravedere l’ultima sfida (in ordine di tempo) dell’ormai secolare guerra ideologica che contrappone liberisti e interventisti, nipotini di Adam Smith (1723-1790) ed eredi di Keynes. Fino a pochi mesi addietro, la maggioranza dei tifosi del superbonus era di proporzioni bulgare. Se non fosse stato per la voce dissonante di Mario Draghi, che pure tutto è tranne che un anti-keynesiano, neanche con la lente d’ingrandimento sarebbe stato possibile leggere parole di contrarietà, o perlomeno di scetticismo, nei confronti di una misura che, di fatto, lanciava quattrini dall’elicottero di stato. Non solo lo stato centrale, ossia Pantalone, pagava l’intera ristrutturazione di una dimora privata, ma addirittura sganciava qualcosa in più.

Consapevoli o inconsapevoli che fossero, i neokeynesiani all’italiana ritenevano ingiustificato il gridare allo scandalo a proposito del superbonus. Sarebbe scattato l’effetto moltiplicatore, assicuravano e controbattevano. La spesa del maxibonus sarebbe stata ampiamente ripagata dalla super-crescita produttiva e occupazionale, che avrebbe fatto lievitare anche le entrate fiscali. Sulla carta. Nei fatti è andata diversamente, non solo perché si è aperta una voragine nei conti dello stato, ma anche perché la corsa ai restauri ecologici ha prodotto un miscuglio tossico formato da inflazione e corruzione.

Sarebbe stato sufficiente ridurre il superbonus dal 110% al 50% e, nello stesso tempo, perfezionare, collaudare i controlli per scoraggiare gli appetiti della Razza Predona, per accontentare una volta tanto, simultaneamente, neoliberisti e neokeynesiani. Ma siccome la classe politica spesso è allergica alle informazioni dal basso ed è quasi sempre attratta dalle illuminazioni dall’alto, nel segno del dividendo per la nomenklatura, si è preferito sfidare il buonsenso portando acqua al mulino di quanti ricordano che i risparmi di oggi sono i consumi di domani e che i consumi di oggi saranno i nuovi debiti di dopodomani.

Il risultato di cotanta superficialità è presto detto: tutti scontenti, tutti preoccupati per il fatto che il superbonus produca più incertezza del diritto che ammodernamento del patrimonio abitativo. In effetti, non era indispensabile aver studiato ad Harvard per prevedere che la magnanimità dell’aiuto pubblico (110%), dopo aver alimentato il caos normativo e amministrativo, avrebbe disincentivato le famiglie dalla ricerca del prezzo più vantaggioso per i lavori di rifacimento domestico; che la generosità di stato avrebbe sottratto alla concorrenza, tipica del mercato, i prezzi degli interventi di ristrutturazione (tanto paga il governo!); che sarebbero sparite le ditte specializzate in opere non garantite dal superbonus; che sarebbero aumentate le truffe per intercettare i finanziamenti previsti dalla legge; che i prezzi complessivi per risistemare le case sarebbero schizzati a razzo; e che il calcolo economico, fattore di razionalità, in tutto il settore residenziale, sarebbe andato a farsi benedire.

Così vanno le cose quando chi tiene i cordoni della borsa, ha la pretesa, spesso sinonimo di presunzione fatale, di possedere tutte le informazioni, che sono per natura disperse e spalmate fra milioni di persone, e ha la sicumera di prevedere la condotta futura di investitori e consumatori. E così anche il superbonus del 110% non è sfuggito al proverbiale destino: essere vittima di conseguenze in-intenzionali dopo fini intenzionali. A breve lo chiameranno supermalus?

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