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Pinuccio, il fantasista della politica, predecessore di Meloni. Il ritratto di Veneziani

Di Marcello Veneziani

“Prendeva i suoi avversari come i suoi amici per il loro lato debole, capiva il punto che avevano più a cuore e cercava su quello un vantaggioso baratto. La sua politica era fatta d’impulsi e arabeschi; astuzia levantina unita a impulsività contadina. Terrone fin dentro il midollo, Tatarella aveva un forte e arcaico senso d’appartenenza, dei legami personali e tribali, territoriali e famigliari”. Il ricordo di Marcello Veneziani

Se dovessimo cercare un predecessore all’avvento di Giorgia Meloni alla guida del governo, l’unico che troveremmo a destra sarebbe Pinuccio Tatarella. Fu lui il precursore della destra conservatrice e postmissina di governo. Quando morì prematuramente alla fine del millennio scorso, Tatarella non lasciò eredi politici. Alleanza Nazionale cominciò a perdersi e a perdere peso. Era ancora il Novecento; fu sua l’idea di coalizzare le forze di centro-destra e poi di andare “oltre il polo”; era impensabile in quel tempo che la destra da sola potesse diventare partito di maggioranza; era perciò necessario allargare le alleanze. Nessuno dei protagonisti della sua epoca è oggi in auge, resta l’ologramma di Berlusconi e poco altro, più un notabile democristiano del tempo, divenuto poi Capo dello Stato, con cui divise il nome di una legge elettorale: mattarellum/tatarellum.  

Il tratto peculiare di Tatarella fu il realismo politico, o se volete, il cinismo pragmatico. Spregiudicato mediatore fino a proclamarsi  “ministro dell’armonia”; incline al compromesso nelle cose penultime, a Tatarella interessava più il risultato che la petizione di principio. Benché provenisse da un partito fondato sulla testimonianza ideale, sulla militanza e sulla retorica, con venature di sentimento e di risentimento, come fu il Movimento sociale italiano, Tatarella non coltivava nostalgie romantiche o estetismi dannunziani. Fu estraneo ai conflitti tra gentiliani ed evoliani, tra cattolici tradizionalisti e neopagani, repubblicani e neoborbonici che attraversavano la destra. Alla morte di Prezzolini, fondò a Bari un istituto nel nome dell’autore del Manifesto dei Conservatori (a me chiese di ricordarlo nella seduta inaugurale). Credeva, più che alle schermaglie ideologiche alla denuncia giornalistica, ai dossier, all’azione pratica quotidiana. Fu anticomunista, nazionale e popolare, lontano dall’anima social-rivoluzionaria che serpeggiava nel vecchio Msi. Moderato e passionale, Tatarella non disprezzava però le idee, semmai il loro irrigidimento integralista o ideologico.

Terrone fin dentro il midollo, Tatarella aveva un forte e arcaico senso d’appartenenza, dei legami personali e tribali, territoriali e famigliari. Possessivo nelle amicizie e avvolgente, sanguigno e tattile; a volte allusivo, con lunghe cadute nel mutismo. Erano impensabili in lui le radicali abiure come quella che poi fece Fini; anche perché lui non aveva da abiurare nessuna ostentazione di neofascismo.

Il suo interfaccia fu Gianni Letta, mediatore in versione gentile e curiale; mai un pelo fuori posto o una macchia sul vestito; il suo contrario. Erano i Mazzarino e Richelieu del centro-destra. Ma Letta rispondeva a un sovrano, Re Silvio; Tatarella aveva in Fini un megafono.

Allegro fantasista della politica, Pinuccio ondeggiava tra furbizia e irruenza. Mai composto, eccedeva in vendette e in slanci. Prendeva i suoi avversari come i suoi amici per il loro lato debole, capiva il punto che avevano più a cuore e cercava su quello un vantaggioso baratto. La sua politica era fatta d’impulsi e arabeschi; astuzia levantina unita a impulsività contadina. Diretto e sinuoso al tempo stesso; così lo ricordai nel mio libro Ritorno al Sud.

Tatarella era il più pragmatico dei missini, ma della cultura aveva soggezione, anche in casa, con sua moglie Angiola. Raccoglieva e archiviava, dopo averli strappati e sbranati dai giornali, pagine culturali e articoli. Si era iscritto ad An vent’anni prima che An nascesse, in pieno Msi neofascista. Ma non s’imbarcò nella scissione di Democrazia Nazionale, pur condividendo i presupposti, perché aveva il senso della realtà, dei tempi e del consenso; conosceva il suo popolo. Alla rivoluzione preferiva la concertazione e all’ordine il disordine; non civile, ma personale.

Tatarella ebbe un grande potere locale in Puglia; un potere di veto, di nomina e di controllo. Ma già quando era nel Msi, partito emarginato, Tatarella contava e trattava. Non era un comunicatore televisivo, ma un comunicativo in via confidenziale; il contrario di Fini. Pinuccio capiva, l’altro diceva.

Era politicamente ma non caratterialmente un moderato. Era un conservatore ma sembrava un descamisado. Lasciò un vuoto che non fu più colmato.

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